All the love I can get. Raccontare la solitudine e la dipendenza affettiva

Seduta sul palco di un piccolo locale, una donna si sta esibendo nella declamazione di una poesia. Poche persone intorno a lei prestano attenzione al modo in cui gesticola stringendo il microfono tra le mani mentre recita “Scivolare sempre in un baratro e dirsi: ‘Ok. Questa non è la tua tomba. Tirati fuori dal baratro.’” Quella donna è Eliza, una delle protagoniste di All the love I can get di Tommi Parrish, e la poesia che sta recitando è What Resembles the Grave but Isn’t, di Anne Boyer.

Non è un caso che questa litania di cadute e risalite dal “baratro che sembra una tomba” (evidente metafora della depressione) introduca l’evento chiave del racconto, ovvero l’incontro di Eliza con Sasha, che era venuta alla performance appositamente per conoscerla. Sono donne ferite, che hanno sviluppato paure nei confronti di una grande varietà di cose e situazioni. Nel corso del libro scopriremo che per loro vivere equivale a camminare su una strada incidentata, piena di buche in cui è facile cadere. La domanda è: è più semplice tirarsi fuori da tale colabrodo da solə, oppure farlo con qualche aiuto?

Parrish, come ho già raccontato, è il genere di fumettista a cui fa bene rivolgersi ogni volta che sentiamo il bisogno di dare senso alla nostra fragilità. Qualcosa, nel loro stile – l’impareggiabile capacità di scavare nella vita interiore delle persone e riportarla sulla pagina evocando esperienze individuali e collettive, l’intreccio di storie stratificate unite in un potente flusso di conversazioni, la commistione di traumi e gioie, di aneddotica divertente in relazione a temi molto pesanti – sa come spostare i nostri orizzonti fuori dalla zona di comfort, offrendo nel contempo al nostro cuore uno spazio sicuro.

Sono trascorsi quattro anni dal loro ultimo libro, The Lie and how We Told It (La bugia e come l’abbiamo raccontata). Nel mezzo: un paio di traslochi di cui uno transoceano, il Covid, la residenza in una cabin nei boschi, la morte della matrigna, la tanto agognata patente di guida conseguita a trentanni compiuti, l’inizio del percorso di transizione di genere. È con questo bagaglio incandescente che Tommi Parrish arriva a pubblicare All the love I can get, racconto di straordinaria umanità sulla difficoltà di esprimere e vivere amore e amicizia ai tempi del capitalismo. Da noi lo ha pubblicato Minimum Fax, all’interno della neonata collana di fumetti “Cosmica” (con largo – e fortunato – anticipo sugli States, dove uscirà solo in autunno col differente titolo Men I Trust).

Nel libro – tradotto da Alice Amico – tornano i temi centrali della poetica di Parrish: l’incomunicabilità tra individui, famiglia e società; il piacere e il dispiacere della solitudine; la mascolinità; il desiderio. Eliza e Sasha sono le protagoniste principali, cui si aggiunge Andrew, figura secondaria che avrà comunque un ruolo determinante per il finale.

Sasha è la più giovane del trio, ha 29 anni. È tornata da poco a vivere coi suoi genitori, dopo essere uscita da una relazione che le ha inculcato una visione di sé molto negativa. Si sente debole, incompetente, stupida, bisognosa (“Mi sento così patetica e sola. Sono spazzatura a cui nessuno vuole avvicinarsi”). È consapevole di aver sempre affidato la sua felicità alle altre persone, e per questo vive una forma molto acuta di co-dipendenza che le rende difficile prendere una qualsiasi decisione (la tendenza più evidente è il delegare le proprie responsabilità). Sasha finisce per adottare atteggiamenti manipolatori nell’illusione di avere controllo delle persone che ha intorno. Usa il sesso come uno strumento per colmare i propri bisogni affettivi ed emotivi. Se solo prova ad interrompere questa routine prova un profondo senso di vuoto, arrivando alla depressione.

Eliza è un genitore single di 32 anni. Lavora in una macelleria per mantenere sé e il figlio piccolo. Nella prima parte del libro è proprio lei a raccontare, durante un meeting A.A. di come il difficile rapporto con la madre l’ha portata sin da giovanissima a provare colpa per i propri bisogni, rintracciando proprio nell’infanzia la genesi di una dipendenza che da adulta le ha fatto vivere situazioni nelle quali interpretava sempre il ruolo della sottomessa. Voleva compiacere le altre persone per mantenere una relazione con loro ed evitare i rifiuti (“Alla fine mi sentivo minuscola, come se non potessi fidarmi di me stessa. È davvero una cosa stupida. Solo perché avevo troppa paura di stare da sola”).

Andrew fa parte di un’altra generazione. È un imprenditore edile, si occupa di ristrutturazioni da vent’anni ed è host del programma televisivo “Renovation Now” che promette a una manciata di ricchi la vita domestica dei loro sogni, a scapito di coloro che sono sfollati a causa della mancanza di alloggi a prezzi accessibili. Utilizza espressioni come “I soliti politicamente corretti” o “Nessuno mi ha mai regalato niente, pago 1800$ di tasse ogni mese”, autocompiacendosi del suo narcisismo e della sua mancanza di empatia. Andrew ha bisogno di alimentare costantemente l’immagine di “grandezza” che costruito di sé, e questo si traduce in atteggiamenti aggressivi e misogini. Non riesce a comunicare la propria vulnerabilità e la sua rabbia viene temuta ed evitata, lasciandolo inevitabilmente solo e sessualmente frustrato.

Tre personalità esplosive che sarebbe auspicabile non si incontrassero mai. Invece Tommi Parrish in All the love I can get ci costringe ad assistere al bizzarro allineamento astrale che porterà queste esistenze imperfette ad intersecarsi, in una narrazione ricca di tensione e meritevole di ripetute riletture. Le pagine, dipinte a mano, splendide, presentano la struttura regolare a sei vignette (classica per Parrish) con poche variazioni; la più evidente è nell’incipit, che utilizza una griglia da otto per ritmare il densissimo incontro degli Alcolisti Anomini cui partecipa, sfogandosi, Eliza.

Non appena Sasha incontra dal vivo Eliza idealizza la loro amicizia. Scambia la gentilezza della seconda per un segnale di “conferma” del proprio valore e impiega tutte le sue energie per tentare di rendersela fedele. La sua ossessione crea un’asimmetria che si fa pagina dopo pagina più evidente, nelle frequenti telefonate e nelle visite agli spettacoli serali di poesia, in un crescendo di imbarazzo e insicurezze che culminerà con una “proposta indecente”: fare compagnia ad Andrew una sera, magari anche andandoci a letto, per fare soldi in maniera rapida e indolore.

Inutile scandalizzarsi. Viviamo in un sistema economico che limita fortemente la capacità di esprimere e vivere l’amore in maniera duratura e spinge a compiere gesti autolesionisti. Mangiare, lavorare, dormire: le nostre vite sono ridotte a questo ed è difficile nel resto della giornata avere l’energia (fisica ed emotiva) per fare altro. Il tempo e la pazienza mancano perché siamo completamente assorbiti dal lavoro. Intimità, sesso, amicizia sono i primi aspetti ad essere sacrificati. Non c’è da stupirsi se dunque questa situazione crea una crescente distanza tra persone. Se ci aggiungiamo la cura della casa e dei figli, l’esaurimento si aggrava. (“Non so cosa ne sto facendo della mia vita. Non ne ho la più pallida idea” confessa Eliza a Sasha durante una passeggiata).

La paura è costante nelle vite delle protagoniste. Paura della solitudine, paura di non “farcela”. Ecco che allora salta agli occhi la differenza tra le due – una differenza relativa solamente all’approccio con cui affrontano le loro difficoltà. Eliza ha già ammesso a se stessa di avere un problema e, con un figlio di cinque anni a cui badare, ha poco “tempo da perdere” per lasciarsi andare: sta facendo un percorso di auto-aiuto e agli incontri dichiara di essere sobria da cinque anni. La sua è una lotta quotidiana per difendere il diritto a un’esistenza dignitosa per sé, ma soprattutto per il piccolo Justin. Al polo opposto, Sasha si trova bloccata in un limbo. Pur consapevole di cosa sia un abuso e di come subirlo possa alternare la percezione della realtà (“L’ho sentito in un podcast” spiega ad Eliza), non riesce a chiedere un aiuto professionale per i suoi problemi.

Tommi Parrish con questo libro ci dona una grande verità, e cioè che il finale della nostra vita non è ancora scritto (il baratro non è “la tomba”, ricordate?). La nostra è sì una società predisposta ad un alto livello di tossicità e non tutte le persone che incontriamo nella nostra vita potrebbero rivelarsi positive per noi, ma è anche vero che altre potrebbero aiutarci e rinforzare positivamente la nostra autostima. Tutto – ogni esperienza, ogni danno, ogni ferita – concorre a farci comprendere meglio i nostri pregi e difetti, dandoci la possibilità di ricostruirci e difendere la nostra salute mentale. Restare sensibili alle opportunità che la vita ci offre è quello che, in ultima battuta, ci aiuterà ad ottenere davvero tutto l’amore possibile.


Note:

• Se vi interessa approfondire il tema della “Recovery” e del miglioramento della propria salute mentale vi consiglio di leggere anche Tara Booth. Qui trovate la mia recensione del suo How to Stay Afloat.

• Le immagini inserite nell’articolo sono state pubblicate come estratto del libro sul New Yorker, nel 2020.

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