The Death of The Master. Una tragicommedia di Patrick Kyle

Pubblicato nell’ormai lontano 2019, The Death of The Master è l’ultimo libro che l’artista canadese Patrick Kyle ha prodotto sotto l’egida della sua storica casa editrice Koyama Press, prima che questa chiudesse ufficialmente i battenti. Si tratta di un piccolo gioiello di teatro dell’assurdo applicato al fumetto: una parodia dei totalitarismi e dell’alienazione della società contemporanea incentrata sulle disparate reazioni di una comunità alla notizia della morte del suo amato, supremo, leader.

“Hey, voi due!! Avete sentito? Il Maestro è morto!!” Quando inizia a circolare la voce della scomparsa del guru, la città si ferma. Affrontare il lutto, per così dire, e improvvisare una reazione degna di questo nome non è semplice, se si è stati indottrinati alla cieca obbedienza e al credere, fino a poco prima, che esistesse una cosa chiamata “vita eterna”.

Chi viveva alla corte del Maestro, chi lavorava alla sua fabbrica, chi aveva avuto solo sporadici contatti con lui: tutti i personaggi sono sospesi nel tempo ed incapaci di procedere senza la loro guida. Alcuni addirittura non riescono a sopportare “un pensiero in più” rispetto a quelli che devono già reggere nel quotidiano, e per questo la loro testa esplode (letteralmente) al sopraggiungere della consapevolezza. È il caos. Serpeggia persino il dubbio sulla veridicità della notizia. Come può essere morto il Maestro, dato il suo potere, la sua infallibilità? Non aiuta il fatto che a palazzo si parli dei preparativi per organizzare e contemporaneamente insabbiare il funerale.

Così si susseguono dialoghi e azioni senza senso, ripetitive e riempite di lunghe pause e silenzi. Dopo aver provato a decifrare il testamento del Maestro, Sarah, che è sua discepola fedelissima e dottoressa della comunità, offre ad un sottoposto che l’aveva raggiunta un unguento per curare il suo “pruritus ani”. In un’altra scena un pittore dialoga con un cliente, vantandosi di aver lavorato per anni come ritrattista ufficiale del Maestro, per essere poi soppiantato da un giovane assistente a cui porta tuttora un discreto rancore. Tornando a casa, un operaio rivela sprezzante di non aver mai apprezzato il Maestro né come oratore né come scrittore (“Ho comprato il suo libro e l’ho portato a casa ma non sono nemmeno arrivato in fondo all’ultima pagina. Chi userebbe parole del genere? L’ho usato come ferma-finestra.”) e, ancor peggio, che il vero nome del Mastro era Rudolph. Rudolph! Niente di più insignificante.

Pur muovendosi all’interno di una griglia piuttosto regolare (due vignette per pagina, à la Diabolik) Kyle dà mostra di una straordinaria abilità nel sovvertire gli schemi tradizionali, realizzando disegni a pennello e inchiostro che sfidano la prospettiva e invitano gli occhi del pubblico a ricercare la posizione dei suoi personaggi sullo sfondo di ambienti allo stesso tempo minimalisti e profondamente surreali, con forme geometriche e ambigue che evocano illusioni ottiche. Il design della tavola è curatissimo, l’ironia della sceneggiatura affilata.

Intervistato da It’s Nice That, l’autore ha raccontato di aver lavorato al world-building durante la lettura di Mammother (2017) di Zachary Schomburg e Zucchero di cocomero (In Watermelon Sugar, 1968) di Richard Brautigan, due romanzi incentrati su società immaginarie, ciascuna con un proprio elaborato sistema di regole e pratiche che gli sono tornate utili come spunto per costruire la sua comunità di fedeli ominidi.

I personaggi di The Death of The Master, a partire dallo stesso Maestro, non hanno infatti fattezze completamente umane. Rudolph sembra una statua di cera disciolta; i discepoli hanno una fisionomia più simile a quella dei rettili, rettili di diverse specie e corporatura. Anche la fabbrica al centro della scena produce una merce non convenzionale: lungo i rulli di uscita delle macchine si vedono rotolare piccole sfere, che i capi reparto “controllano” mettendole in bocca e interpretandone i messaggi. Sono “le perle” del Maestro, un’estensione del sistema ideologico monolitico da lui creato, che proibisce ogni forma di contraddizione.

Rispetto ai precedenti lavori di Kyle, caratterizzati da una forte sperimentazione e spesso divisivi per la critica (indecisa se bollarli come enigmatici o geniali) The Death of the Master è in realtà relativamente accessibile. Sono evidenti i parallelismi con i regimi totalitari; l’autocensura degli oppositori che per paura non esprimono apertamente le proprie opinioni; i riferimenti al lavoro precario. È un fumetto maturo, che si prende gioco dei difetti dell’uomo e del potere imposto, ma non ha fretta di trasformarsi in cinismo. Lavorando per sottrazione dà tutto il tempo a chi legge di decidere se vuole riderne o lasciarsi sopraffare dall’insopportabile tragicità del racconto.

Aggiungo che l’esperienza di lettura è resa ancora più godibile dall’elementarità dell’edizione cartacea. The Death of the Master si presenta con l’aspetto di un “romanzo a buon mercato”, come l’ha definito l’autore stesso per via della scarsa qualità della carta e della copertina non rigida. Un look assolutamente voluto, e ricercato con attenzione assieme all’editrice, che gli ha consentito di mantenere per tutti i suoi libri la spontaneità dei tempi delle autoproduzioni pur passando alle pubblicazioni da libreria. Purtroppo a causa della cessata attività di Koyama Press, il libro è diventato difficile da reperire fisicamente. Ma se ne trovano alcune copie sul sito dell’autore (non ringraziatemi).

Note:

Patrick Kyle fa parte di un ampio gruppo di artisti che ha rilanciato la comunità artistica di Toronto. Per farvi qualche esempio: è amico di Michael DeForge (con cui ha una band, Creep Highway, si può ascoltare su Bandcamp), Ginette Lapalme e Chris Kuzma con cui ha frequentato l’Ontario College of Art and Design e co-creato la zine Wowee Zonk, che alla sua terza uscita ha ricevuto una nomination ai Pigskin Peters Awards, come miglior pubblicazione avanguardistica e “non tradizionale”.

• Zucchero di Cocomero è un romanzo del 1968 ambientato in una comune organizzata attorno a una casa chiamata “iDEATH”. Una lettura cult che ha ispirato autori e musicisti di ogni genere, tra cui Klaxons, Neko Case e Harry Styles.

Per maggiori informazioni sulla chiusura di Koyama Press, potete leggere la mia intervista a Miss Annie su Le Fauci.

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