Dentro e fuori dall’armadio. Storia dei coming-out di Eleanor Crewes

È più difficile entrare nel closet o uscirne? Scoprire la propria omosessualità o dichiararla? Nel suo memoir a fumetti Tutte le volte che ho scoperto di essere gay (Diabolo Edizioni), Eleanor Crewes racconta di aver impiegato anni prima di riuscire a fare i conti con la sua identità di giovane lesbica, inanellando durante l’università una serie di tentativi poco convinti di uscire allo scoperto.

Quando era bambina adorava Buffy l’ammazzavampiri, in particolare il personaggio di Willow, che fa coming-out nella quarta stagione. Passava il tempo disegnandola e cercando di replicare i suoi look. Sprofondava il naso nei libri che raccontavano storie di fantasmi, ascoltava gruppi musicali sconosciuti fiera della propria stranezza e del suo gruppo di amiche fidate. Crescendo era diventata più insicura: la terrorizzavano i pettegolezzi e si sentiva schiacciata dalla pressione di conformarsi e dover per forza baciare qualche ragazzo, uscirci e farlo sapere al mondo.

Era sempre stata consapevole di provare un forte senso di differenza rispetto alla norma a cui era stata socializzata, ma le mancavano gli strumenti adatti a descriversi, così aveva finito col respingere sentimenti e orientamento sessuale “scomodi” ai margini della sua vita sociale (“Era come se qualcuno mi avesse consegnato una lettera da tenere al sicuro, ma non potessi aprirla fin quando non fosse arrivato il momento giusto”). Solo verso la fine dell’adolescenza, quando ignorare il metaforico armadio che prendeva forma attorno a lei era diventato impossibile, aveva abbracciato l’esperienza del coming-out, che però non si era risolto in un unico spettacolare evento rivelatorio, ma in tanti brevi momenti di lucidità intermittente.

Il primo tentativo di dichiararsi, per esempio, avvenuto durante una notte di capodanno trascorsa con le sue amiche più strette, era durato appena un giorno. Poi se l’era rimangiato. Due anni dopo ci aveva riprovato, ma senza successo. Ormai era al college, aveva fatto sesso con un ragazzo, iniziato ad frequentarne altri ma senza mai sentirsi pienamente a suo agio. Infine erano arrivati gli attacchi di panico. La causa era più probabilmente legata allo studio, ma sentire che non aveva più il controllo del proprio corpo se non altro l’aveva avvicinata alla terapia. Purtroppo nemmeno con la psicologa riusciva a parlare dei suoi sentimenti, tantomeno di ragazze.

“Ci tengo solo a precisare che sono pienamente consapevole di quanto mi illudessi. Evidentemente non ero pronta per la verità”, fa dire al suo alter ego, ritratto sul tavolo da disegno in uno dei numerosi momenti del libro che sfondano la quarta parete. 

Ellie sa di essere fortunata: ha un forte sistema di supporto formato da familiari e amici e ognuno dei suoi traballanti coming-out incontra il loro sostegno. Nessuno la costringe a chiarire le sue posizioni mentre cambia fidanzati, va ad appuntamenti deludenti ripetendosi di essere vicina a trovare la persona giusta. Ma attorno a lei c’è anche chi, come i colleghi del ristorante dove lavora la sera, considera “lesbica” un insulto e non perde occasione per urlarglielo addosso. 

Sebbene non venga mai veramente approfondita e indagata la causa del suo sentirsi paralizzata, è innegabile che la paura di essere trattata diversamente o perdere qualcuno fosse ciò che la costringeva a nascondersi. Quello che l’ha veramente aiutata ad aprirsi e superare i miti dannosi della lesbofobia, è stata l’esposizione alla cultura queer della Scuola d’arte. È qui, in classe [alla University of the Arts London] che incontra i modelli di cui aveva bisogno, persone simili a lei, e riesce a mettere insieme le parti mancanti della sua identità.

Quando finalmente arriva ad ammettere la verità sull’attrazione per il suo stesso sesso, comincia la corsa al “recupero” del tempo perduto. Solo che lungi dal prendere il volo, il gioco degli appuntamenti non decolla mai veramente e la sua “nuova” vita privata si rivela un disastro. Ma ora Crewes non è più confusa e spaventata; ha conquistato la sua verità ed è decisa a viverla fino in fondo, ricostruendo la sua autostima un pezzetto alla volta (“Tutto ciò che esisteva di gay e di bello entrava nella mia vita e mi cambiava i capelli, gli abiti, i libri che leggevo, il modo in cui lavoravo. Ero ispirata, ed eccitata, e questo alleviava ogni paura che ancora avevo rispetto a ciò che era andato perso in quei lunghi anni di inferno etero”). 

“Tutte le volte che ho scoperto di essere gay” è nato inizialmente come un piccolo progetto personale: una fanzine di 10 pagine, che nel 2018 Crewes consegnava a mano ai negozi di fumetti, girando tutta Londra in bicicletta. Il riscontro positivo le ha dato la motivazione per ampliarlo fino a farlo diventare un racconto di formazione scanzonato, onesto e attuale, lungo oltre 300 pagine. 

Al netto della prosa lirica e coinvolgente, ciò che ne fa un buonissimo fumetto sono i disegni in bianco e nero realizzati con un tratto morbido e svelto, che Crewes lascia imprecisi e minimali come fossero ancora stampati su fogli rilegati con la spillatrice. Niente vignette, pochi balloon, uso frequente dello spazio bianco: tutto questo conferisce al volume quella piacevole immediatezza ed espressività che sta dalle parti del diario e dello sketchbook e rende la lettura super scorrevole ed immersiva; perfetta anche per un pubblico young adult.

Quella di Ellie è una storia vera e vale la pena ricordarlo, dal momento che si conclude nell’amore e nella gioia. Di tragedie relative alla comunità LGBT+ se ne vedono e leggono già abbastanza. Questo libro trasuda vitalità e speranza, anche quando descrive momenti critici e di forte disagio (oltre agli attacchi di panico, Crewes si è trovata ad affrontare anche il dismorfismo corporeo, per cui passava ore a preoccuparsi di presunti difetti del suo corpo pur di non concentrarsi sulle sue emozioni nascoste). Diventare una felice donna lesbica non è stato semplice per lei, ma alla fine ce l’ha fatta e sono certa che la sua testimonianza possa risuonare nel cuore di molte persone che hanno conosciuto o conosceranno presto l’esperienza “senza fine” del coming-out.

Oggi Eleanor Crewes vive a Londra con la sua compagna Tilly, in una casa che sembra uscita da un suo sogno d’infanzia, dato che è affacciata su un cimitero. Quando non lavora al suo nuovo libro, sfoga la sua creatività in cucina (ha infatti origini italiane da parte di madre – nel fumetto ne fa un breve accenno). Se vivesse in una società ideale non avrebbe avuto bisogno di dichiararsi né di nascondere il proprio orientamento sessuale o di realizzare questo libro. Avrebbe parlato della sua intimità quando e con chi ne avrebbe avuto voglia. Ma data la realtà fortemente eteronormata in cui è immersa, una realtà che di fatto nega la sua esistenza, ha avuto bisogno di rendersi visibile per avanzare un riconoscimento, per essere compresa e rispettata, per onorare il suo desiderio e combattere lo stigma. Come insegna il mese del pride, dare visibilità a qualcosa che è stato nascosto o bollato d’infamia per generazioni incoraggia il senso di comunità e, si spera, la lotta collettiva per la rivendicazione dei diritti.


Note:

• L’interesse per la stregoneria ha infuso anche l’ultimo lavoro di Eleanor Crewes, intitolato “La strega Lilla” (edito da Battello a Vapore). È un fumetto young adult ambientato in Italia, l’estate in cui una ragazzina è ospite dalla zia ed entra in possesso di un libro magico. 

• “Buffy l’ammazzavampiri” ha fatto la storia della rappresentazione LGBTQ in tv. È stata la prima serie mainstream a mostrare un bacio gay di fronte alla telecamera. Lo sviluppo del personaggio di Willow Rosenberg come donna queer, ha contribuito alla visibilità lesbica in televisione, online e (sì) anche nella vita di tutti i giorni. La prima volta che Eleanor Crewes ha fatto coming out con le sue amiche d’infanzia, la loro risposta immediata non a caso è stata: “Ommiodio, finalmente sei Willow!”

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