The Death of The Master. Una tragicommedia di Patrick Kyle

Pubblicato nell’ormai lontano 2019, The Death of The Master è l’ultimo libro che l’artista canadese Patrick Kyle ha prodotto sotto l’egida della sua storica casa editrice Koyama Press, prima che questa chiudesse ufficialmente i battenti. Si tratta di un piccolo gioiello di teatro dell’assurdo applicato al fumetto: una parodia dei totalitarismi e dell’alienazione della società contemporanea incentrata sulle disparate reazioni di una comunità alla notizia della morte del suo amato, supremo, leader.

“Hey, voi due!! Avete sentito? Il Maestro è morto!!” Quando inizia a circolare la voce della scomparsa del guru, la città si ferma. Affrontare il lutto, per così dire, e improvvisare una reazione degna di questo nome non è semplice, se si è stati indottrinati alla cieca obbedienza e al credere, fino a poco prima, che esistesse una cosa chiamata “vita eterna”.

Chi viveva alla corte del Maestro, chi lavorava alla sua fabbrica, chi aveva avuto solo sporadici contatti con lui: tutti i personaggi sono sospesi nel tempo ed incapaci di procedere senza la loro guida. Alcuni addirittura non riescono a sopportare “un pensiero in più” rispetto a quelli che devono già reggere nel quotidiano, e per questo la loro testa esplode (letteralmente) al sopraggiungere della consapevolezza. È il caos. Serpeggia persino il dubbio sulla veridicità della notizia. Come può essere morto il Maestro, dato il suo potere, la sua infallibilità? Non aiuta il fatto che a palazzo si parli dei preparativi per organizzare e contemporaneamente insabbiare il funerale.

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Brat. Voglio una vita così, c’est la vie

Michael DeForge non è uno che le manda a dire. Avevo Brat sul comodino da appena due giorni quando mi sono imbattuta nel tweet dove sostanzialmente smerdava la Westbank Corp – società canadese che si occupa di sviluppo immobiliare e residenziale di lusso – perché gli aveva proposto di realizzare un fumetto a supporto di uno dei loro ultimi progetti di riqualificazione. DeForge si era limitato a screenshottare la risposta alla mail, che chiosava dicendo: Piuttosto mi taglio la testa. Grazie per avermi contattato, Michael.

La città è infatti il milieu per eccellenza di DeForge, un luogo familiare, quasi sacro, verso cui il fumettista canadese (classe 1987) nutre una visione per sua stessa ammissione romantica. “Non ho mai vissuto in contesti che non fossero cittadini, anche se avrei voluto”. Le cose belle della città come il senso di comunità, l’accessibilità, stanno lentamente svanendo per mano dei cosiddetti agenti del Capitale, e questo per DeForge è insopportabile. Nei suoi fumetti (ma molto spesso anche nei suoi tweet) non è difficile ritrovare questa frustrazione, abilmente filtrata dalla sua raffinata satira surrealista.

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