Pittsburgh. Passeggiare nella memoria di Frank Santoro

Pittsburgh, Pennsylvania, è la città in cui Frank Santoro è nato ed è la città in cui oggi vive e lavora come fumettista ed insegnante d’arte. Per anni ha provato a starle lontano, vivendo a San Francisco, vivendo a New York. Negli anni Duemiladieci, però, ci è tornato e da allora pare averci fatto pace. Tornare a vivere nella propria città natale non è un’anomalia, per gli americani: traslocano molto nel corso della propria vita, ma se devono mettere radici spesso scelgono per un motivo o per l’altro di tornare al punto di partenza. Per Frank Santoro è stato così e Pittsburgh, il libro, è il risultato di questo ritornare con il corpo in città e con la mente a tutto quello che è successo alla sua famiglia in quei luoghi. Un provare ad esaminare, in modo quasi ossessivo, il proprio passato, la storia dei suoi nonni e dei suoi genitori.

Si potrebbe definire una sorta di “origin story”: la storia dei suoi genitori e dei suoi nonni che solo collateralmente diventa anche la sua storia. È la spiegazione di come andarono le cose prima che lui nascesse. La cronaca dell’allineamento astrale che vide sua madre, Anne Marie, ex reginetta della scuola, primogenita di quattro fratelli destinati ad avere un problema con l’alcool, sposare suo padre, Frank Santoro Senior, appena rientrato dal Vietnam, salvo per miracolo.

Prima ancora che un fumetto autobiografico, Pittsburgh è il tentativo dell’autore di avvicinarsi alla sua famiglia. Capirla. Pensando ai suoi genitori come persone, senza giudicarle per aver deciso di divorziare quando aveva 19 anni.

A distanza di oltre vent’anni, è ancora doloroso per lui pensare alla loro separazione. Il padre e la madre lavorano in ospedale, spesso con turni che coincidono, ma si comportano come se non si conoscessero. Se mai tra di loro c’è stato qualcosa, quella testimonianza è la vita stessa di Frank “Junior”, il loro unico figlio. Entrambi sono affezionati a lui e lui è affezionato ad entrambi. Ma non può resistere alla tentazione di immaginarli di nuovo assieme. Così, ricostruisce dialoghi della loro vita da sposati, conversazioni tra loro e i loro genitori (i grandparents Santoro), cercando di collocarsi in questa narrativa, senza uscirne come un fantasma.

La loro è una storia che ha davvero dell’incredibile. Anne Marie e Frank “Frankie” Santoro si erano fidanzati al liceo. Lei aveva iniziato a lavorare part-time nel negozio dei genitori di lui. Poi lui aveva deciso di arruolarsi nei Marines ed era partito per il Vietnam, a metà degli anni Sessanta. Lei gli scriveva quando poteva, inviando grosse buste colme di fotografie che il Comandante di Frankie detestava recapitare e puntualmente gli lanciava addosso per punirlo della sua fortuna. Nessuno sapeva se sarebbe tornato vivo dalla missione. Anne Marie pregava la madre di non spedirla in California, perché voleva rimanere a Pittsburgh e aspettarlo. I genitori di Frankie, erano più ottimisti, e avevano persino spedito un giradischi al figlio assieme ad alcuni dischi Motown che avrebbe finito per adorare.

Il ritorno di Frankie a Pittsburgh, congedato dalla sua squadra, sano e salvo, era stata una notizia splendida per tutti. Anche se alcune cose erano cambiate, avevano voluto sposarsi lo stesso. E poi era nato Junior. La vita familiare era stata serena, ma quando il ragazzo era cresciuto e aveva deciso di andare al college in California, il padre aveva deciso che era giunto anche per lui il momento dei saluti, e aveva chiesto il divorzio.

“Pittsburgh è piuttosto grigia, certo, ma quando c’è il sole riesci a vedere che ha molti altri colori”, ha dichiarato l’autore. Nel libro la città è un trionfo di giallo, viola, indaco, verde. Il libro, realizzato con tecnica che mescola carte, nastro adesivo e forbici (fors’anche i sassi) è colorato tutto con pennarelli marker, matite e gouache dai toni accesi, volutamente a contrasto. Il colore detta la compisizione. È quasi un fumetto fauvista, viscerale senza però risultare aggressivo. “Non ho usato il nero, se non per i testi. Mi piace usare i pennarelli perché la mantengono la resa su tavola anche dopo la scansione. Con la pittura c’è invece sempre un cambiamento dei colori.”

La ricostruzione dell’autore non si ferma certo solo gli esterni degli edifici, ma prosegue magnifica con la resa degli interni. Salotti, cucine, scale e pianerottoli, negozi disegnati solo attraverso esercizi di memoria e note su taccuino fatte durante i viaggi nella Rust Belt americana fatti sul finire dei Novanta. Santoro al Comics Journal ha detto a tal proposito che ciò che lo ha spinto a fare il libro è stata proprio quella sensazione che ha provato stando “al tavolo, seduto, a pensare com’erano le stanze. Un po’ come se fossi stato interessato solo all’emozione che mi dava il processo creativo”.

Pittsburgh è un album di ricordi, iper colorato, stratificato e avvolgente. Fin dalle prime pagine, ci immerge in un ambiente tridimensionale di cui è possibile cogliere persino odori, suoni e sapori. “Fischio del treno poco lontano”, “Asfalto caldo sotto i piedi”, “Fuoco e fumo della fornace”, “Gusto di caramella mou” sono alcuni esempi delle note che l’autore lascia sulla tavola, come fossero dei pezzi di dialogo o di narrazione a sé, necessari al lettore per una più completa immersione nella storia, nei luoghi, nelle scarpe dei protagonisti.

“È stato un processo naturale, figlio dei miei appunti sui taccuini o dal disegnare sul posto. Ho sempre pensato che queste annotazioni fossero rilevanti tanto quanto la resa di un paesaggio”.

Santoro è noto per essere abile giocoliere del linguaggio del fumetto e un amante della sperimentazione formale: a ventitre anni, nel 1995, aveva lasciato la sua impronta indelebile nel settore realizzando Storeyville, albettone in 40 pagine formato tabloid, applaudito anche da Chris Ware, Seth e David Mazzucchelli, per poi sparire dalla scena e dedicarsi all’arte contemporanea. Tra il 1999 e il 2005 aveva esposto le sue opere in alcune gallerie newyorkesi e era diventato assistente degli artisti Dorothea Rockburne e Francesco Clemente. Quest’ultima esperienza in particolare gli dette poi la spinta per tornare ad occuparsi di fumetto e divenne la base del suo graphic novel Pompeii (unico suo lavoro edito in Italia, da 001 Edizioni) incentrato sulla vita di un pittore e del suo assistente, prima della storica eruzione del Vesuvio nel 79 a.C.

Tornato a vivere a Pittsburgh, aveva potuto fare della vecchia casa della madre il suo studio, piazzando il tavolo da disegno in mezzo alla sala da pranzo. La città che negli anni Cinquanta accoglieva una cosa come 700.000 persone, si era lentamente svuotata (si calcola ci vivano oggi in 300.000), ma questo non gli aveva impedito di credere nei propri progetti scolastici ed editoriali, al punto da istituire un programma di residenze d’artista e tutoraggio per giovani fumettisti, proprio nel suo vecchio quartiere.

Pittsburgh, il libro, nasce in questo periodo, anche se sarebbe più giusto dire che è sempre stato nei suoi pensieri per anni, prima di trovare concretezza su carta. È evidente che per l’autore questo viaggio nel tempo sia stato doloroso, tuttavia è grande la maturità con cui è riuscito a restituire la complessità umana dei suoi familiari, la fallibilità di alcuni e la forza di altri (senza dimenticare lo straordinario ruolo degli amici di famiglia, come l’eccezionale Denny) accendendo una luce dietro agli occhi dei suoi lettori. “Crescendo negli anni Noventa ero immerso nell’ironia. Potevi fare solo arte ironica in quel periodo, ma ciò di cui sentivo il bisogno era sincerità, trasparenza. Ho cercato di mantenere una consistenza emotiva, rispondendo con un’arte che fosse piena di sentimento”.

Non un tentativo calcolato di produrre un bestseller cavalcando l’onda lunga dei “memoir tormentati”, ma una maniera di riconnettere con ferite aperte e imparare a condividere pezzi di sé con le altre persone. I suoi genitori per anni sono stati un mistero indecifrabile. In primis, il padre, che il Vietnam aveva inevitabilmente segnato. Per uno strano scherzo del destino, il signor Santoro aveva deciso di raccontare il trauma della sua esperienza al fronte ad un fumettista di passaggio in città, che aveva incontrato fuori da un locale. Quel fumettista era Sammy Harkham e quella conversazione diventò soggetto di una strip inclusa in Crickets #3. Quando Frank Santoro la lesse, a momenti ci rimaneva secco. “Mi aveva sconvolto. Ma in senso buono. Nel libro parlo di cose che non ho mai saputo dei miei, fino al compimento dei 30 anni, e guarda un po’, ecco mio padre che racconta l’esperienza personale più terribile che abbia mai vissuto, a un estraneo. Le prima due pagine del libro le ho disegnate in quel periodo, proprio per rispondere a questo episodio.”

Chi non avesse famigliarità con lo stile di Santoro, non deve scoraggiarsi per il fatto che il libro non presenti una resa narrativa accurata e lineare del suo passato, o che le tavole non siano pulite con Photoshop, ma nastro adesivo e correzioni siano ben visibili sulla tavola. Non è indice di trascuratezza o fretta. Bensì del fatto che per lui il processo creativo è il focus e voglia mostrarci proprio quello, nel suo farsi, incluso il tornare a ridisegnare sopra una tavola già finita, per modificare un espressione del viso, o una zampa del cane. È il suo modo di disegnare i propri ricordi, instabili, fragili, estraendoli con cautela dalla memoria.

Costruito su dialoghi familiari, contemplazioni del paesaggio e piccole scene di lavoro quotidiano, Pittsburgh ci parla della memoria come di una delle cose più preziose che abbiamo. Come nella canzone Frankie & Johnnie, citata all’interno del libro, questa storia “non ha una morale e non ha una fine”. È una vicenda irrilevante se comparata ad altri (più) celebrati e complessi memoir, eppure è di quelle che una volta lette ti fan venire voglia di ricominciare da capo, per vedere se svelato il primo strato di sentimenti, ne può emergere un altro, più luminoso.


Note:

• Il libro è uscito prima in Francia (2018) che negli Stati Uniti (New York Review Comics, 2019). È stato proprio l’editore transalpino di Frank Santoro, Editions ça et la, a suggerire “Pittsburgh” come titolo. Inizialmente il nome ipotizzato dall’autore era “Never Comes Tomorrow” (come si può vedere dalla prima pagina).

• Per approfondire il libro e la vita di Frank Santoro, consiglio l’ascolto del podcast “The Virtual Memories Show”, condotto da Gil Roth. L’episodio 345 contiene una sua intervista.

Riff Raff è il nome della rubrica-culto che ha curato per The Comics Journal per alcuni anni (fino al 2018), segnalando titoli interessanti, ritrovamenti editoriali, e piccole cose che gli erano successe.

Qui la tavola disegnata da Santoro in risposta a Sammy Harkham.

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