Hot Comb. Costruire la propria identità iniziando dai capelli

Avere il controllo sui propri capelli e amarli è un atto rivoluzionario che fa parte dell’esperienza culturale delle donne afrodiscendenti, costrette per molto tempo da oppressione sociale, abusi e discriminazione razziale a nasconderli. È un modo per reclamare il proprio valore.

Hot Comb, il primo libro a fumetti dell’antropologa ed educatrice afroamericana Ebony Flowers, è una raccolta di storie brevi che riflette proprio sul rapporto che bambine, ragazze e donne nere hanno con i loro capelli, descrivendone i rispettivi “hair journey”. Uscita nel 2019 per Drawn&Quarterly, questa antologia a metà tra memoir e critica sociale esplora un ampio spettro di emozioni – amicizia, amore, gioia, ansia, lutto, nostalgia – celebrando la cultura nera e facendo anche i conti con la quotidianità razzista e misogina perpetrata dagli ignoranti.

“I capelli sono un aspetto importante della nostra vita”, ha spiegato al Chicago Tribune l’autrice. I capelli sono passare del tempo insieme, sono espressione e intimità, sono terapia. I capelli sono sopravvivenza, sono una storia condivisa e personale.

L”hot comb” del titolo altro non è che il “pettine rovente” utilizzato per stirare e domare i capelli afro, notoriamente ricci, crespi e difficili da districare. Inventato a inizio Novecento da Madam C.J. Walker (cui è stata recentemente dedicata la serie tv Netflix Self Made) questo strumento rivoluzionario ha fornito a una comunità la possibilità di determinare il proprio aspetto – e per esteso la propria vita – segnando la giovinezza di tante, per poi essere “aggiornato” dai prodotti liscianti.

Nel primo racconto, ambientato negli anni Novanta, Ebony chiede alla madre di farle una stiratura prima di un talent show organizzato dalla scuola. La procedura con l’hot comb richiede ore, ma la donna acconsente dolcemente di farla, nonostante sia appena rientrata da lavoro, esausta. Il talent show scolastico è al centro dei pensieri di Ebony, e lei non ha tempo per fare caso a tutto questo. Deve essere pronta per le sue amiche e per la loro esibizione: un’imitazione delle TLC, in cui lei avrebbe la parte di Chilli.

A 11 anni, la piccola Flowers sente la pressione sociale e chiede spesso il permesso di poter fare un tiraggio permanente. Non ha idea di cosa comporti questa pratica, ma nella sua testa è l’unico modo per ottenere una messa in piega morbida e setosa ed essere accettata dai coetanei, dando un taglio alle microaggressioni di cui è vittima ogni giorno. Per quanto la madre provi a dissuaderla (“Sei troppo giovane per stirarti i capelli”) non c’è verso di farle cambiare idea. Così un giorno acconsente ad accompagnarla nel salone di Dee, a Baltimore. In attesa del suo turno, la bambina sfoglia riviste e origlia le conversazioni delle donne con i capelli in posa o sotto i caschi, sognando di uscire da quel luogo con una nuova identità. La turberà vedere che sua madre, guidando sulla via del ritorno, piangerà vedendola toccarsi i capelli e girarli dietro l’orecchio… come una ragazza bianca. È una sequenza che ben illustra l’impotenza delle donne nere di fronte alla potenza di standard di bellezza più grandi di loro. Ok la stiratura, ma non dimenticare chi sei, sembra dire alla figlia, sconfortata.

Nel racconto successivo, “Lady on the train”, ambientato sulla metro, una sconosciuta fa una serie di domande ignoranti ad una giovane nera seduta di fronte a lei. Tutte hanno a che fare col fatto che indossa un turbante e la sua interlocutrice non si spiega come mai stia nasconendo i capelli. “Sei iraniana? Sei palestinese? Vieni dall’Africa? Sei musulmana?”

In “My lil sister Lena”, Flowers racconta la storia di sua sorella minore, giovane promessa del baseball femminile che un giorno, ingenuamente, cede all’ennesima richiesta delle compagne di squadra e si lascia toccare i capelli. Da quel momento, quest’invasione della propria sfera privata diventerà un’abitudine delle sue amiche, che non saprà più come respingere. È un racconto malinconico che mostra come un gesto sottovalutato possa arrivare a generare ansia e atteggiamenti autodistruttivi in chi ne è vittima.

Toccare i capelli di una donna nera senza chiederle prima il permesso è un’azione estremamente rude. Una microaggressione a tutti gli effetti, anche quando viene perpetrata da persone che non intendono essere razziste, ma pensano di essere solo “curiose”. C’è da tenere conto che spesso, anche chiedendolo, non si dà all’altra persona la possibilità di dire no. Perché potrebbe passare per antipatica, stizzosa, “angry”. Insomma, come insegna anche Solange, no i capelli non li devi toccare.

Hot Comb conferma la capacità di Flowers di osservare attentamente (e documentare nel disegno) la vita e le abitudini dei suoi amici e della sua famiglia: “Storie come “Big Ma”, “Sisters and Daughters” and “Last Angolan Saturday” pescano dalla vita dei miei amici e dei miei familiari, con l’aggiunta di alcuni elementi di finzione che mi servivano per enfatizzare speranze, paure, sogni e dubbi.” ha rivelato in un’intervista a Westword, quotidiano di Denver (dove risiede oggi).

Le storie contenute nel volume sono inframezzate da parodie di pagine pubblicitarie che Ebony Flowers inventa partendo dai propri ricordi. È cresciuta leggendo riviste femminili come Ebony, Essence e Jet (spesso proprio mentre si faceva fare i capelli) che contengono una parte importante di pubblicità dedicata ai prodotti di haircare e veicolano standard di bellezza irraggiungibili ed eteronormati (look per tenersi un uomo, trovarsi un uomo o essere più sexy), aumentando ulteriormente la pressione sociale sulle ragazze.

“Non avevo mai messo in discussione quello che queste pubblicità stavano realmente cercando di vendermi. Ora sono molto più critica nei confronti dei messaggi, degli standard di bellezza e delle pacificazioni aziendali verso i bianchi che erano (e continuano ad essere) radicate in questi annunci”. Le parodie sono quindi per lei una maniera ironica di proporre un futuro alternativo che possa ispirare le donne nere senza costringerle ad odiare i loro capelli.

Il suo lavoro da fumettista e storyteller è stato fortemente influenzato dall’opera di Lynda Barry – e lo stesso si può dire anche del suo lavoro di docente. Quando le due si sono conosciute nel 2012, all’Università del Winsconsin Madison, Flowers ignorava che Barry fosse una fumettista oltre che un’insegnante. Ma durante il suo corso “What It Is, Shifting the Manual Image” fu letteralmente la prima cosa che apprese.

Dopo quell’esperienza, Linda Barry venne assunta dall’Università e Flowers colse l’occasione per rimanere in contatto con lei (“Mi iscrissi ad ogni suo corso. La sua influenza fu tale da indurmi gradualmente a specializzarmi come Formatrice”). In seguito, quando partì un progetto di ricerca guidato da Barry intitolato Image Lab, Ebony Flowers divenne sua Assistente e lavorarono assieme per anni.

Dalla Barry, Flowers ha preso l’attitudine a pescare dai propri ricordi sensazioni e dettagli da riportare sul foglio il mondo interiore dei ragazzini, il tratto grezzo e vivido di dettagli, con il lettering fatto a mano che corre intorno ai soggetti. Si augura di essere riuscita a dare voce a chi non ne ha, e far sentire visti gli invisibili. “La mia è una formazione da etnografa. So come studiare, disegnare e raccontare le storie che fanno parte della quotidianità. La bellezza, la complessità e il dolore dei miei fumetti viene proprio da lì. C’è bisogno di guardare attentamente le cose, perché rischiamo di perderci molto altrimenti. E c’è bisogno di ascoltare, con attenzione, ciò che diversamente potrebbe essere frainteso o ignorato.”

Nel racconto che chiude la raccolta, “Last Angolian saturday”, tre ragazze trascorrono una giornata assieme a Luanda, in Angola. Si fanno i capelli, scherzando sul fatto che una di loro li ha talmente crespi che potrebbe spezzare il pettine, guidano verso l’Oceano per un’ultima gita assieme prima di separarsi (senza dimenticare di fermarsi per fare pipì dietro una vecchia dimora coloniale!) È una narrazione gioiosa, positiva, genuina che parla di connessioni personali e geografiche e della libertà di potersi allontanare, anche solo brevemente, da una realtà che le costringe ad essere una versione limitata di loro stesse.


Note:

• Ebony Flowers ha partecipato all’antologia a fumetti Drawing Power (uscita a fine 2019 per Abrams Books, sotto la cura di Diane Noomin; uno dei migliori fumetti dello scorso anno per il New York Times) che raccoglie storie di molestie sessuali, abusi e sopravvissute, narrate da 63 fumettiste. La sua storia è incentrata sulla vita di una donna aggredita da un collega.

• La sua tesi di dottorato è stata realizzata quasi tutta in forma di fumetto.

• Nel 2017 ha vinto il Premio alla scrittura della Rona Jaffe Foundation.

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