Everything is Flammable. Madri, figlie e scolapiatti

Se aveste incontrato Gabrielle Bell all’inizio dell’estate del 2014, avreste detto che se la stava cavando piuttosto bene. Aveva disdetto l’abbonamento ad internet per evitare distrazioni, cambiato dieta in modo da mangiare più frutta e verdura, inventato metodi alternativi per sopravvivere all’afa, accettato l’idea che il suo computer fosse defunto, i soldi finiti. Le avreste persino rivolto uno sguardo intenerito ascoltando le evoluzioni del suo piccolo orto. Dopodiché avreste iniziato a notare lo strano sorriso con cui raccontava questa storia e capito che sotto sotto si sentiva sopraffatta dalle preoccupazioni e dall’ansia.

Reduce dalla pubblicazione del suo ultimo fumetto (Truth is fragmentary) e in attesa di trovare nuova ispirazione per scrivere dell’altro, si ritrovava ferma nella sua casa di Brooklyn, circondata da amici premurosi ma inquieta ed esausta. Quando un giorno…

Un giorno riceve una telefonata raggelante: la casa di sua madre è andata a fuoco in piena notte. Lei fortunatamente si è salvata ma l’incidente le è costato caro, tanto che ora è costretta a vivere in una tenda che le ha prestato un amico. Senza soldi, telefono o auto. La notizia (unita al senso di colpa di una figlia che sa di vivere lontana) smuove Bell al punto da spingerla ad iniziare una serie di viaggi da New York alle zone rurali della California settentrionale dove è cresciuta, per aiutare la madre a trovare una nuova sistemazione.

Everything is flammable (pubblicato da Uncivilized Books nel 2017, ancora inedito in Italia), nasce dunque per puro caso. Dagli appunti scribacchiati da Bell durante questi trasferimenti, per evolvere nel superbo resoconto a fumetti dell’esperienza catartica e surreale della reunion di due donne introverse e fragili che si ritrovano assieme dopo che il passato le aveva ferite e allontanate bruscamente.

Non è la prima volta che Gabrielle Bell racconta sua madre in un fumetto. In The Voyeurs, ad esempio, Maggie era la persona a cui si rivolgeva per realizzare un adattamento dello S.C.U.M. Manifesto. In quelle pagine, Maggie veniva descritta con affetto, come una donna di grande intelligenza che in gioventù aveva conosciuto Valerie Solanas, e tuttavia era lontana anni luce dallo stereotipo della “figura materna”.

Come scriverà infatti Bell: “Mia mamma non mi ha mai insegnato come cucinare, farmi i capelli o parlare ai ragazzi. Era più interessata a leggere libri difficili e pensare. Era una casalinga atipica. Mi ha messo al mondo senza etichettarmi come ragazza o ragazzo, ma più come una grande, imbarazzante e ignorante COSA, costringendomi ad inventarmi da sola mentre crescevo. Le sono profondamente grata per questo”.

Dalle digressioni di Everything is flammable scopriamo che Maggie è stata per anni vittima di abusi e violenza maschile (prima da parte del suo compagno Jeff, patrigno di Gabrielle, e in seguito da un altro partner da cui è riuscita a liberarsi solo dopo averlo messo K.O. durante l’ennesima lite). Quest’esperienza traumatica ha distrutto la sua stabilità emotiva e la sua capacità di fidarsi degli uomini. Anche a distanza d’anni, il ricordo di Jeff riesce a metterla in ginocchio e farla sentire vulnerabile. Lo vediamo nel libro quando interagisce con Gus, il suo solitario vicino di casa: un ex-detenuto che nel suo impacciato modo di esserle grato per averlo ospitato sul suo terreno, si offre di ricostruire parte della nuova abitazione.

Un giorno Gus si dimostra aggressivo con un cane, spaventandola a morte e costringendola a chiudersi a bozzolo nel pensiero che “chi è aggressivo con gli animali lo è anche con le persone”. Dopo averci parlato a lungo ed essersi accertata delle sue buone intenzioni, Gabrielle interverrà per aiutarlo ad andare d’accordo con la madre (“Ha avuto una vita difficile. Rispetta i suoi spazi, così inizierà a fidarsi anche di te”).

Il comportamento violento di Jeff ha lasciato il segno anche nella vita di Gabrielle. In un flashback dedicato agli animali domestici che aveva da bambina, l’autrice racconta che un giorno Jeff aveva sparato contro il loro cane per punirlo e poi, preso dalla rabbia, si era avventato su di lei e le aveva sbattuto la testa a terra con rabbia, convinto di poterle insegnare “come ci si comporta” quando un animale non c’è più.

Bell non ha bisogno di commentare l’accaduto, le basta disegnarlo per comunicarcene la gravità. Allo stesso modo non espliciterà mai nel racconto l’inappropriatezza del comportamento dell’agente immobiliare che lei e Maggie incontrano per chiudere l’affare della casa. Si limiterà a mostrarci il modo in cui si sporge verso di lei, ammiccando, cercando continui abbracci e baci sulla guancia.

Il critico americano Rob Clough (file under: mio guru) dice bene quando, parlando di Gabrielle Bell, menziona la compostezza come una delle sue migliori qualità artistiche. È difficile saper scrivere dei fumetti autobiografici che non inciampino nell’errore dell’autocommiserazione o nel soporifero sproloquio, risultando comunque ficcanti e godibili per il vasto pubblico. Lei ci riesce, e lo fa in maniera straordinariamente intelligente e consapevole di sé. È esilarante, brutale e malinconica allo stesso tempo.

Nonostante l’oscurità degli argomenti trattati, nelle mani di Bell l’intera storia diventa un trionfo di digressioni surreali, autoironia, umorismo introspettivo e commenti caustici, sempre misuratissimi, capaci di divertirci, commuoverci e soprattutto tenerci incollati fino all’ultima pagina. Quanto sono rari fumetti del genere?

Tra le parti più assurde e divertenti del libro, che stemperano a dovere la tensione montante, la mia preferita è quella in cui racconta il suo desiderio di regalare alla madre uno scolapiatti da utilizzare nella roulotte dove ha trovato una sistemazione temporanea. Un attrezzo “utile” per la vita di tutti i giorni, che Gabrielle si procura a New York e trascina con sé per miglia, invece di comprarlo in California (Dio sa perché). Un attrezzo “utile” con cui spera di fare ordine non solo nello spazio abitativo nella madre, ma anche in quello emotivo: “Per la maggior parte della mia vita sono stata una figlia negligente, ingrata e assente, capace comunque di sfruttare la sua vita e il suo personaggio per i miei fumetti. Sono sicura che [regalandole] questo scolapiatti farò ammenda per tutto”.

Nella stessa roulotte, che la madre ha acquistato ad un prezzo stracciato in attesa di potersi trasferire in una casa prefabbricata, Bell trova dentro un pensile alcuni dvd porno. Chiedendo spiegazioni alla madre, lei risponde: “Era lì quando ho comprato la roulotte. Dopo averlo trovato non ho più avuto coraggio di guardare dentro gli altri vani”.

Le sue pagine si presentano come una fusione ansiosa di fatti e fantasie occasionali (la zattera che la salva dall’apocalisse, gli orsi che si rilassano in piscina) che riflettono il suo incessante processo di autoanalisi. Le linee, nere, spesse e nervose danno al suo personaggio e ai comprimari una gravitas che si rispecchia il peso delle loro emozioni.

Per valorizzare il contenuto, che per lei viene sempre prima di tutto, non cambia mai il layout della tavola (che divide sistematicamente in sei vignette di uguale dimensione) e utilizza in maniera didascalica il colore. Non vuole “distrarre” il lettore con la composizione e nemmeno con il bianco e nero. Vuole che il messaggio sia più accessibile possibile. (“Trovo che il colore organizzi l’immagine in modo che l’occhio riesca a consegnarla al cervello in modo più rapido ed efficiente. Il mio disegno non è particolarmente vario a livello di tratto, quindi il colore mi aiuta davvero a far capire all’occhio che, per esempio, l’edificio finisce lì e il cielo inizia là”).

Il risultato di questa attenzione per i dettagli è che Gabrielle Bell ci fa genuinamente affezionare a tutti i personaggi di Everything is flammable e alle loro vicissitudini. Ci fa provare empatia. Ci fa sentire il dolore che provano per poi alleviarlo quando loro riescono a esorcizzarlo. Quando la casa della madre viene completata, alla fine del libro, Gabrielle riesce finalmente a concedersi un momento di relax nel nuovo bagno di sua madre (prima era costretta a lavarsi nelle docce a tempo del campeggio e a farla nei boschi). In quel momento anche noi ci sentiamo purificati e distesi, come se avessimo affrontato con un qualche tipo di successo la più grande delle sfide e potessimo concederci di chiudere un momento gli occhi prima di cominciare con la successiva.


Note:

• La sua interpretazione a fumetti di Cappuccetto Rosso si intitola “Little Red and Big Bad” e, beh, è un po’ diversa da come la ricordavamo. Scritta per The Paris Review, si può leggere interamente online qui.

• Il regista Michel Gondry, con cui è stata fidanzata per alcuni anni, ha adattato in un cortometraggio la sua storia a fumetti Cecil and Jordan in New York. Il corto si intitola “Interior design” e si può trovare all’interno del film collettivo Tokyo! (2008). Forse ne avrete sentito parlare: la ragazza protagonista, insoddisfatta dalla vita, si trasforma in una sedia.

• Gabrielle Bell è nata a Londra da padre inglese. Quando aveva due anni i suoi genitori hanno divorziato e da allora ha sempre vissuto in Nordamerica, prima con i fratelli e la madre, poi per conto proprio.

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