Come diventare superforti. Il ritorno di Alison Bechdel

È difficile non mitizzare una figura come quella di Alison Bechdel. Nel corso della sua carriera pluridecennale la fumettista “laureata” del Vermont ci ha offerto una prospettiva eccezionale sull’identità, i rapporti con la famiglia e il bisogno universale di far parte di una comunità. Per 25 anni (dal 1983 al 2008) ha realizzato la rivoluzionaria striscia bisettimanale Dykes to Watch Out For, tra le prime a raccontare la quotidianità di un gruppo di amiche lesbiche, diventata un cult e distribuita in tutto il mondo, e in seguito ha scritto due graphic memoir pluripremiati dedicati ai genitori (Fun Home e Sei tu mia madre?), che hanno forgiato un’intimità improbabile con un segmento ancor più vasto di lettori. Da una sua battuta ha avuto origine anche il famigerato “Bechdel Test”, ormai uno standard per misurare la rappresentazione delle donne nei media e nelle opere di finzione.

Ha iniziato a fare fumetti durante il College distinguendosi subito per una scrittura brillante e autoironica, con il tempo resa sempre più arguta e stratificata per la presenza di numerosi riferimenti letterari. In Fun Home ad esempio, si passa senza sforzo dalla mitologia greca a Proust, da Joyce a Camus; in Sei tu mia madre? da Virginia Woolf ad Adrienne Rich a Donald Winnicott. I suoi lavori sono dichiaratamente politici e nelle sue tavole spesso sfera privata e pubblica si sovrappongono, come il rapporto tra il sé e il mondo esterno.

Chi ha familiarità con la sua opera a questo punto pensava di sapere tutto di lei – il coming out a 19 anni, la famiglia conservatrice che le ha lasciato sorprendentemente lo spazio per sviluppare le sue passioni e diventare un’artista nonostante tutto, l’ambigua morte del padre che non aveva mai dichiarato la propria omosessualità, l’altalena di relazioni con le proprie fidanzate, la terapia, il complesso rapporto con la madre, i problemi con l’alcool.

Una cosa però Bechdel non l’aveva ancora raccontata ed è quella che troviamo nel suo ultimo libro Come diventare superforti (uscito in Italia a settembre, per Rizzoli Lizard, con la traduzione di Lara Pollero): l’ossessione per l’esercizio fisico e il fitness, un’ossessione profonda quasi quanto quella per il lavoro, solitario e perdurante di chi fa fumetti. Come i due siano collegati e cosa, precisamente, Bechdel pensa di aver “concluso” in tutti questi anni è quello che si domanda e ciò a cui prova a rispondere.

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Everything is Flammable. Madri, figlie e scolapiatti

Se aveste incontrato Gabrielle Bell all’inizio dell’estate del 2014, avreste detto che se la stava cavando piuttosto bene. Aveva disdetto l’abbonamento ad internet per evitare distrazioni, cambiato dieta in modo da mangiare più frutta e verdura, inventato metodi alternativi per sopravvivere all’afa, accettato l’idea che il suo computer fosse defunto, i soldi finiti. Le avreste persino rivolto uno sguardo intenerito ascoltando le evoluzioni del suo piccolo orto. Dopodiché avreste iniziato a notare lo strano sorriso con cui raccontava questa storia e capito che sotto sotto si sentiva sopraffatta dalle preoccupazioni e dall’ansia.

Reduce dalla pubblicazione del suo ultimo fumetto (Truth is fragmentary) e in attesa di trovare nuova ispirazione per scrivere dell’altro, si ritrovava ferma nella sua casa di Brooklyn, circondata da amici premurosi ma inquieta ed esausta. Quando un giorno…

Un giorno riceve una telefonata raggelante: la casa di sua madre è andata a fuoco in piena notte. Lei fortunatamente si è salvata ma l’incidente le è costato caro, tanto che ora è costretta a vivere in una tenda che le ha prestato un amico. Senza soldi, telefono o auto. La notizia (unita al senso di colpa di una figlia che sa di vivere lontana) smuove Bell al punto da spingerla ad iniziare una serie di viaggi da New York alle zone rurali della California settentrionale dove è cresciuta, per aiutare la madre a trovare una nuova sistemazione.

Everything is flammable (pubblicato da Uncivilized Books nel 2017, ancora inedito in Italia), nasce dunque per puro caso. Dagli appunti scribacchiati da Bell durante questi trasferimenti, per evolvere nel superbo resoconto a fumetti dell’esperienza catartica e surreale della reunion di due donne introverse e fragili che si ritrovano assieme dopo che il passato le aveva ferite e allontanate bruscamente.

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How to Stay Afloat. Quando la quotidianità è una lotta

Costruirsi una vita, al di fuori della malattia mentale, è un percorso intenso e complesso, fatto di passi avanti, passi indietro e ancora avanti. La chiamano “recovery”, ed è come una corrente che spinge. Spinge a prendere coscienza dei propri limiti e spinge ad assumersi delle responsabilità per migliorare la qualità della propria vita e viverla più positivamente. Non guarire, quella è un’altra cosa. Diciamo più riappropriarsi della propria identità personale e sociale, tornare a divertirsi e ridere nonostante i disturbi di cui si sta soffrendo.

Tara Booth nei suoi lavori parla esattamente di questo. Pittrice e fumettista, ha iniziato a pubblicare i suoi lavori nel 2015, dopo aver finito la Scuola d’arte della natia Philadelphia. Nelle sue tavole racconta la convivenza con l’ansia cronica e la depressione utilizzando colori e pattern a profusione; sono tavole piene di carattere, spiritose, goffe, assurde. Una quotidianità incasinata e imbarazzante, abbracciata con l’orgoglio di chi sa che l’esperienza sofferente ha valore e per questo merita di essere riconosciuta, sia pure come diversità.

How to stay afloat – Surnager au quotidien è uscito nel 2018 per la small press francese Arbitraire Editions, ed è una sorta di manualetto per affrontare l’esistenza che riprende il precedente How to be alive (uscito per Retrofit e vincitore del premio Ignatz come miglior fumetto nel 2018) e aggiunge un extra di venti pagine con nuovi particolari autobiografici.

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Boundless. Il talento senza limiti di Jillian Tamaki

Non si sa bene come, ma una delle poche testate cartacee che quest’estate si è occupata dell’uscita italiana di Boundless, la prima raccolta di storie brevi a fumetti di Jillian Tamaki, è stata Cronaca Vera. Sì, proprio il settimanale di costume e cronaca nera diventato un culto tra gli amanti del trash editoriale italiano. Francamente non pensavo nemmeno dedicasse spazio ai libri, nel delirio delle sue rubriche.

Per il resto, l’esistenza di Senza limiti (questo il titolo scelto dalla casa editrice Coconino Press per il volume, inserito nella collana Warp) è passata un po’ in sordina. Il che è, come dire, un peccato. Il nome dell’autrice canadese non è nuovo al pubblico italiano, che porta ancora addosso come postumi di una sbornia amorosa i ricordi delle letture di Skim e E la chiamano estate, i sofisticati coming-of-age che aveva realizzato a quattro mani con sua cugina, la scrittrice Mariko Tamaki.

Forse giugno non era il giusto in cui farlo uscire, chissà. O forse il formato scelto per quest’edizione non è piaciuto (un po’ più grande dell’originale, che certe storie paiono galleggiare nella pagina). In ogni caso meglio fare un po’ da megafono perché questa è la prima prova di Tamaki come autrice unica che ci passa per mano. Boundless è un fumetto personale, imprevedibile e stupefacente che riesce a gettare un ponte tra mainstream e sperimentazione in modo estremamente naturale.

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Queer: A Graphic History. Altolà alla normatività

Se c’è una cosa che ho imparato negli anni trascorsi a Soft Revolution è che non si può essere buoni alleati LGBTQ+ se non si conoscono il passato, il presente e i problemi attuali che colpiscono le persone LGBTQ+ nel mondo. C’è bisogno di leggere, ascoltare, aprire gli occhi – insomma, educarsi – sui linguaggi queer, sulla storia e i problemi di giustizia sociale. Anche se questo implica il più delle volte mettersi in discussione e rivedere in toto le proprie posizioni.

Quando uno dei miei contatti Instagram ha condiviso un estratto di Queer: A Graphic History (nello specifico, una fulminante citazione di Michael Warner, l’autore di The trouble with normal), ho capito subito che sarebbe stato un libro da recuperare alla svelta, per imparare qualcosa di più non tanto sull’attivismo quanto sul pensiero, la teoria, queer.

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