Trottole. Elogio della vulnerabilità

In principio erano un centinaio di pagine. Tillie Walden le aveva disegnate a fatica, per lo più erano scene in cui si era ritratta mentre pattinava su ghiaccio, paesaggi. Non sapeva ancora se poi sarebbe stata in grado di svilupparle narrativamente, fino a farle diventare una storia completa. Tantomeno un libro di 396 pagine intitolato Spinning (Trottole, nell’edizione italiana).

Era stata una campionessa di pattinaggio artistico su ghiaccio per 12 anni. 12 lunghi anni scanditi da una routine marziale: sveglia alle quattro di mattina, allenamento, scuola, secondo allenamento e poi a letto. Nel weekend, altri allenamenti e gare.

Dopo aver smesso con questo sport si era appassionata al disegno tanto da volersi iscrivere al Center for Cartoon Studies. Lassù nel Vermont il suo talento non era passato inosservato, tuttavia la prima volta che aveva provato a integrare il suo passato sportivo nel mezzo-fumetto aveva avuto un blocco. Forse uno dei suoi primi blocchi creativi importanti, una tragedia per lei che da quando aveva iniziato a disegnare fumetti non si era mai fermata un momento (il ritmo con cui sfornava titoli pubblicati da “veri” editori era infatti stupefacente: solo durante i due anni al Ccs avrebbe pubblicato tre libri, infiocchettati da riconoscimenti come due Ignatz award e una nomination agli Eisner).

Le cento tavole erano state un primo, modesto tentativo di dare forma ai suoi ricordi. Il “metodo” per proseguire, scremando e riordinando quelle bozze, l’avrebbe trovato con l’aiuto di James Sturm*, fondatore del Ccs nonché suo relatore e mentore, e di Connie Hsu, editor per First Second (la casa editrice che l’avrebbe pubblicata), che l’avrebbe esortata a soffermarsi di più sui contenuti, espandendoli ove possibile per dare loro maggiore coesione.

Questi professionisti non vedevano assolutamente nulla di sconveniente nel fatto che stesse lavorando a un memoir pur essendo così giovane (21 anni), anzi avevano intuito il valore terapeutico del racconto del passato come cura per ferite trascurate troppo a lungo, è questo supporto è una cosa di cui Walden non manca di mostrarsi grata. Superata la crisi, aveva messo circa tre mesi a disegnare e scrivere il libro che possiamo leggere ora. Capito cosa intendevo per “stupefacente”?

Tutto quello che ho da dire della mia vita, è in questo libro.

Da un’intervista a The Comics Journal

Walden è chiara nella sua intenzione di esporre e denunciare le aspettative tossiche del mondo del pattinaggio artistico che l’avevano soverchiata per troppo tempo. Lo fa sin dalla copertina, dove disegna una fila ordinata di pattinatrici, tutte con lo sguardo rivolto verso destra, e in mezzo a loro una Tillie bambina, sconfortata, che guarda per risposta verso il vuoto del lato opposto.

I lustrini, il trucco pesante, i costumi ridicolamente estivi nonostante la temperatura artica del contesto in cui si gareggia, i sorrisi forzati – insomma, la performance della perfezione, la femminilità esasperata, anche in età prepuberale – non le sono mai piaciuti. L’atto di pattinare, il movimento veloce e solitario sui pattini, quello sì, lo amava e la emozionava. Ma tutto ciò che vi stava attorno non aveva mai potuto respingerlo, i genitori minimizzavano le sue lamentele. La beffa era che in pista otteneva risultati eccellenti: e se sei brava in uno sport, perché mollarlo?

Il pattinaggio tuttavia non è che la cornice di un racconto molto più denso, intimo e personale, che include prima di tutto il desiderio dell’autrice di trovare il proprio posto nel mondo senza dover sacrificare parti di sé, come l’essere lesbica e dover affrontare quotidianamente una comunità respingente e bigotta (che la scoraggia dal dichiararsi alle ragazze da cui è attratta, o a fare coming-out con le coetanee) o il voler coltivare la passione per l’arte.

Visivamente, il suo lavoro è ineccepibile: ogni dettaglio, linea, sfumatura, è bilanciato e comunica un’emozione nel massimo della sua intensità. (“Ho imparato tutto dai manga”, dice insistendo sul valore della semplice linea nera contro le pagine iper colorate di un certo fumetto mainstream). Solitudine, malinconia, speranza, paura, amore: l’autrice ci fa commuovere e intenerire, senza risparmiarci scene più dure e dolorose. Ciò che le interessa è essere più possibile fedele alle sue emozioni di allora, non tanto ai suoi ricordi:

Alcuni pensano che lo scopo di un memoir sia di riportare i fatti. In questo libro ho cercato di non alterare la verità, ma la ricostruzione precisa degli avvenimenti non mi interessava. Non ho scritto per condividere ricordi, ma per condividere delle sensazioni. Non mi importa che gara fosse o che vestito indossassi; mi importa cosa provavo quando ero in pista…

Da postfazione all’edizione italiana (Mondadori Oscar Ink, con la traduzione di Marta Maria Casetti)

L’emblema di questo approccio è rappresentato dalle tavole in cui racconta le molestie e il tentativo di aggressione sessuale da parte di un tutor scolastico, che non si sta minimamente rendendo conto della gravità delle sue azioni, inducendo Tillie a colpevolizzarsi per averlo inconsciamente “provocato”. Col procedere delle vignette, i dettagli si riducono (com’era la stanza? che giorno era? che colore avevano i suoi vestiti? non ha importanza) e ci si trova immersi in questa sequenza, col terrore che l’uomo possa agire in modo irreparabile, i polsi stretti della protagonista, i nostri.

autoritratto dell’autrice

Anche per questo, ha ammesso, “i memoir sono 10.000.000.000 di volte più difficili [da realizzare] rispetto alla fiction”. Ciononostante, averlo fatto è stato davvero importante per lei. Un passaggio obbligato per riuscire a sentirsi finalmente adulta.

Spinning/Trottole è stato uno fumetti più apprezzati e discussi nel 2017. Osannato praticamente da qualsiasi giornalista o lettore, le è valso il premio Eisner come miglior libro “reality-based” (titolo che in passato aveva vinto anche la grande Alison Bechdel, pure lei lesbica dichiarata, con Fun Home) e l’ha incoronata come una delle voci più promettenti della nuova generazione di fumettisti americani.

Se prima l’unico Walden che conoscevate era quello di Henry Thoreau, fatevi un favore e iniziate a recuperare i lavori di Tillie. Il più recente, On a sunbeam si può leggere tutto online!


Note:

• Tra Tillie Walden e James Sturm c’è una bella amicizia: lui si è pure divertito a scherzare sulla popolarità di lei in una short story disegnata per The Nib.

• Il tema della violenza sessuale sarà al centro del prossimo libro di Walden, Are you listening? in uscita per quest’autunno.

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