Melody. Una vita messa a nudo

Sylvie Rancourt ha solamente 21 anni quando nel 1980 si trasferisce da Abitibi (regione rurale nel nord del Quebec) a Montreal con il suo fidanzato. Entrambi sono al verde, così per sopperire alle difficoltà economiche lei inizia a lavorare in uno strip club come spogliarellista. L’esperienza di quegli anni sarà così impattante da farle venire l’idea di trasporla in un fumetto in bilico tra autobiografia, humour nero e operetta sull’industria del sesso.

La genesi di “Melody”, la serie autoprodotta che prende il nome dalla sua alter-ego protagonista, è in soldoni questa. Tra il 1985 e il 1988 Sylvie Rancourt ne realizza sei numeri in bianco e nero, scritti in francese, e li distribuisce all’interno dei night dove lei stessa lavora, provvedendo così a sollazzare gli abituali clienti con una performance extra (artistica, dopo quella fisica) che ottiene ogni volta il tutto esaurito. Lei non lo sa, ma con queste “barzine” sta piano piano entrando nella storia come una delle prime fumettiste canadesi, nonché una delle pioniere del fumetto autobiografico in America.

Non c’era un cliente che non ne comprasse una copia dopo aver iniziato a sfogliarlo. Addirittura lo leggevano da cima a fondo, dimenticandosi di guardare gli spettacoli in corso. È stato lì che ho pensato “Diavolo. Allora dev’essere buono!”

L’approccio è piuttosto ingenuo ma come rileva anche lo storico francese Bernard Joubert, esperto di fumetto e censura, “è in questo che risiede il suo fascino”. All’epoca erano pochi gli autori che ritenevano sensato mettere la propria vita nei fumetti. Sì, Art Spiegelman stava già lavorando a Maus, ma Rancourt non conosceva il suo lavoro. Al massimo, scrive Joubert, conosceva Tintin, Archie e altre “versioni francesi dei fumetti sexy italiani, come Maghella, Jacula e Lucifera”. Sebbene infatti Rancourt riconoscesse ai fumetti una certa forma espressiva “non ne conosceva gli strumenti, le tecniche o la storia”.

Il prodotto così come viene confezionato è piuttosto grezzo, amatoriale – e il suo disegno non è da meno. È privo di dettagli anatomici, cura delle prospettive o delle proporzioni – quasi infantile – ma curiosamente senza malizia o volgarità.

La prima esibizione di Melody nello strip club

Quando, in cerca di una distribuzione più ampia, Sylvie Rancourt decide di proporsi ad un editore, deve fare i conti con le imperfezioni del suo lavoro, che è costretta a sottoporre ad un restyling per poter vedere finalmente in edicola. Con l’aiuto di Jacques Boivin, disegnatore canadese che le ridisegna le copertine, e Jean-Pierre Thibodeau che mette mano al lettering per i primi numeri, il progetto viene accettato e Melody distribuita al grande pubblico… francofono.

Sarà però la versione in inglese edita da Kitchen Sink, tra 1988 e 1995, quella che la farà conoscere e apprezzare maggiormente (tra gli estimatori, figure come la fumettista underground Aline Kominsky-Crumb e un imbarazzato Chris Ware). Unica pecca di questa versione è che l’editore vuole che le storie siano ridisegnate da Jacques Boivin, dunque lei vi figura solo come sceneggiatrice.

Avanti veloce e arriviamo al 2015 quando la casa editrice canadese Drawn&Quarterly (peraltro fondata proprio negli anni in cui iniziavano a circolare le “barzines” di cui sopra) pubblica una raccolta di sette numeri di Melody in inglese, con artwork originale di Rancourt. Un tentativo di avviare una riscoperta ragionata del suo lavoro, caduto nel dimenticatoio per trent’anni.

Se parliamo di anni Ottanta e di artiste che scrivevano di corpi femminili, sessualità e tabù, infatti saltano alla mente immediatamente i nomi di Julie Doucet, Lynn Johnston o Phoebe Gloeckner, non certo Sylvie Rancourt. Questo è dovuto in parte al fatto che la fama di quest’ultima non derivava da graphic novel sperimentali o da iconiche “funny pages” ma semmai dal racconto episodico della vita nei localacci di Montreal, poi relegato agli scaffali delle riviste osè. All’inizio degli anni Novanta, il proprietario di una fumetteria a Toronto si beccherà una multazza per “possesso e vendita di materiale osceno”, a causa del fumetto, e sarà poi costretto a chiudere il negozio.

La “polizia morale” era infatti alive and well, in Canada, in quegli anni. Rancourt sarà criticata dai giornali, soprattutto da giornaliste come Solange Harvey che pur riconoscendo l’originalità del suo lavoro la biasimeranno per averlo reso indecente e volgare. Cosa non piaceva di “Melody”? L’erotismo (vago) dei suoi disegni, o piuttosto il suo disinteresse a chiedere perdono per una vida così loca?

Racconto la mia vita da ballerina, senza farne qualcosa di drammatico e senza intenti morali”.

– Da un’intervista del 1986

Melody è un personaggio pieno di curiosità per il mondo, una giovane donna che riesce ad essere ottimista e disponibile nonostante lo squallore che la circonda (di cui il marito Nick, criminale inetto e sanguisuga nonché omm’e merd, è l’emblema). È una lavoratrice indipendente, una nipote e amica affettuosa, un’inquilina educata. È a proprio agio col suo corpo e la sua sensualità, che vive con estrema naturalezza e disinvoltura (vedi capitolo sull’orgia).

In un certo senso, però, questa narrazione scevra da ogni giudizio morale colloca Melody (dunque anche Sylvie) in un bivio, a metà tra sfruttamento ed empowerment: lei non è arrabbiata, non si sente una vittima del sistema, ma nemmeno si presenta ai lettori come protagonista del proprio destino. Il fatto che non reagisca di fronte al bastardo con cui è sposata, che sperpera giocando d’azzardo i soldi che lei si guadagna onestamente, ignora completamente i suoi bisogni, vende merce rubata e spaccia droga nel suo locale facendole rischiare il posto, va oltre ogni sopportazione possibile. Lei difende la dignità delle ballerine di fronte alle insinuazioni di clienti malintenzionati, ma poi quando si allontana dal gruppo non si risparmia le critiche meschine alle colleghe. Non trova altro modo per raccontare la sua interazione con un avventore di colore se non con un’incredibilmente sconfortante blackface.

Insomma, Sylvie Rancourt ha realizzato un fumetto che molti hanno definito naif e leggero, ma si è fidata troppo dei suoi lettori e delle conclusioni che avrebbero potrebbero trarre (o non trarre affatto). Forse se fosse stato un fumetto più presente a se stesso, con uno sguardo più critico della realtà, sarebbe stato perfetto.


Note:

• Rancourt è rimasta nel circuito per dieci anni, utilizzando il suo nome vero e persino Melody come stage name. Dopodiché si è ritirata a vivere in una fattoria, col nuovo marito e i figli. Sporadicamente dipinge quadri che ritraggono ancora la sua danzatrice con gli outfit cuciti in casa, ma sembra aver rinnegato quel periodo della sua vita.

• Se continua ad interessarvi l’argomento, vi lascio qui il link al blog di un gruppo di sex worker che parlano di politica e pop culture in maniera impeccabile: Tits and Sass.

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