Dritto per dritto. Il biopic in salsa Fabio Tonetto

Chissà se le persone che l’hanno letto converranno con me quando dirò che Dritto per dritto di Fabio Tonetto è l’autobiografia di un cane che si ritrova a tirare le somme della propria vita, dopo aver interrotto i legami con la sua famiglia e aver sperimentato un breve successo come artista di strada. Si potrebbe obiettare che il sottotitolo “Una fiaba a quattro zampe” lo connoti semmai come la storia di un cagnolino ribelle, che rifiuta le convenzioni che lo vorrebbero sempre su due zampe, dritto e composto come un umano, e se ne va in giro facendo dispetti da quadrupede. Oppure, se si guarda l’incipit (“Ieri notte ho fatto un sogno”), si potrebbe leggerlo come il racconto di una serie di apparizioni mentali, in cui il personaggio protagonista percorre in lungo e largo l’elemento onirico, per confessarsi.

Queste interpretazioni sono probabilmente tutte ugualmente corrette e ragionevoli. D’altronde è dai tempi di “Ren Rocchi” prima e “Rufolo” poi, che Tonetto ci concede la libertà di armeggiare di fronte alle sue serrature narrative con generosi mazzi di chiavi di lettura, osservando da lontano i nostri sforzi con timido sollazzo. Io, nel mio piccolo (blog), preferisco attenermi alla versione più drammatica, forse per una questione anagrafica. Vedo il libro come un racconto di formazione, in grado di svelare la genesi interiore del cambiamento vissuto dall’animale protagonista per mezzo di piccole scene/gag.

Dritto per dritto inizia effettivamente con un sogno ambientato la notte di Natale, emblematica ricorrenza in cui tutti – animali compresi – ci lasciamo andare a bilanci emotivi. La voce narrante è del cane protagonista, che non riesce a vivere serenamente il ritrovo con la famiglia. Ha la sensazione che le sue azioni e interazioni sociali non siano adeguate, che commetterà un errore e rovinerà l’atmosfera. Ma soprattutto che suo fratello minore riceva un trattamento di favore (“Sembrava mi provocassero, mentre con mio fratello erano sempre tranquilli”).

Quella sera, mentre tutti sono a tavola, si verifica un incidente domestico e per tutta risposta lui viene invitato a lasciare la casa. Inizia così una nuova vita come senzatetto, “mezzo randagio”. Per un po’ mantiene un basso profilo, al riparo tra gli scatoloni trovati in strada (“Dove vivo ora sono tutti dritti. Io non sono che un dettaglio. Insomma, niente di straordinario”). Libero da obblighi e doveri, si ambienta in fretta, lontano da sguardi indiscreti.

Ma è evidente che la vita nell’ombra non fa per lui. Vivendo per strada scopre di essere un eccellente rumorista, la cui specialità consiste nell’imitare il suono del clacson. Il suo amico Conrado (unico nome proprio presente nel libro) non ha dubbi: i suoi versi hanno un certo “non so che” che li rende originalissimi. Incoraggiato dall’amico, gira la città portando il suo spettacolo ove gli è possibile. Quando raggiunge la notorietà, si verifica un nuovo punto di rottura; la sua fama esplode, generando una nuova spirale discendente: “Questo talento mi ha portato all’eccesso. Sono diventato veramente grosso”. Per un cane di tale nervo, il ritiro dalle scene risulterà sorprendentemente composto e rilassato. Ma quanto ci sarà da aspettare per la prossima scossa?

Ho amato Dritto per dritto in quanto esercizio esemplare di narrazione semiseria. Nel libro di Tonetto il linguaggio enfatico della tragedia si mischia alla perfezione con quello quotidiano e volgare della commedia: la cena natalizia, che fa da sfondo al dramma familiare che causerà l’allontanamento del cane, è descritta come un sontuoso banchetto all’italiana dove i dolci serviti sono “sette” e la moka di caffè bollente è “modello trenta dosi”. Ancora: il protagonista non ha nome, ma sul collare porta inciso il numero di telefono di casa e per questo i suoi amici lo chiamano “+39” (piùtrentanove). Il mancato ricongiungimento coi parenti viene chiosato con la frase “Del resto i miei genitori non hanno mai voluto animali”. Conrado (maschera dell’intellettuale radical chic, col naso sempre piantato in un giornale) esclama “È arte” parlando di inquinamento acustico.

Se con la sua scrittura garbatamente ambigua Tonetto sfoggia buona parte del suo ingegno, nel disegno manifesta invece tutta la sua grazia. In questo libro assistiamo ad un ulteriore passo avanti nel percorso di stilizzazione e sintesi del suo tratto pop: i personaggi di “Dritto per dritto” – così come gli oggetti e i suoni – non sono che “outline”, linee di contorno svuotate dei dettagli interni e riempite di sole tinte piatte. È anche per questo che l’usuale palette a nove colori (utilizzata dall’autore nelle opere precedenti) deve e può arricchirsi includendo gialli senape, rossi cremisi, blu notte.

Tonetto distribuisce i disegni con parsimonia al centro di ogni pagina, accompagnandoli con una o due frasi (non di più). A volte, lascia le pagine vuote, corredate da soli incisi. In altre più rare occasioni, sposta il disegno ai margini del foglio, facendolo trasbordare nel successivo. Forte della sua esperienza come animatore, dirige i nostri occhi per far funzionare l’illusione del movimento continuo, con risultati folli: se le nostre mani sfogliassero con velocità sufficiente le pagine, il libro si trasformerebbe in flip-book.

Le pagine di grande rigore concettuale e formale che ci troviamo tra le mani ci portano a proiettare significati che non possono che derivare dalla nostra esperienza autobiografica e culturale. Nelle pagine a fondo nero, che raccontano metaforicamente la “discesa” del cane nell’oblio, la propensione all’introspezione è accelerata. Simile al test di Rorschach (che si svolge di fatto interpretando “disegni ambigui”) quella sezione del libro fatta di singole macchie simmetriche ci mostra come funziona il pensiero del protagonista. È ora di risalire dal fondo: DAI! (“Che brutta esortazione…”)

Raccontando la storia di un animale che non sa vivere, non sa comunicare efficacemente con gli altri, non sa davvero cosa vuole e spesso non agisce, “Dritto per dritto” lascia aperta la porta per riflessioni sul malessere sostanziale che esiste all’interno della realtà civile e sociale, tutta concentrata nella celebrazione del mito della forza e dell’efficienza per superare la propria miseria, lasciando indietro chi non rispecchia questi ideali. “Sono certo che se tornassi da loro troverei quello che mi aspetto, niente sorprese (…) Nulla finisce. Neanche quello che gestiamo male.” Non è che magari il cane, che si sente insoddisfatto e straniero, riesce a vivere alla fine meglio di chi se ne va in giro “dritto”, senza patire la propria condizione?


Note:

• Fabio Tonetto nasce come animatore, formato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Torino. Prima di (e oltre a) pubblicare fumetti, ha realizzato diversi video pubblicitari e musicali e collaborato con Cartoon Network. Vi lascio i link ad un paio di suoi corti spettacolari: Ralph Plays D’Oh (ispirato ai Simpson) e Pluto 3000 (ispirato all’omonimo personaggio Disney). In entrambi il sound design è curato da Enrico Ascoli.

• I suoi libri precedenti (“Rufolo”, “Rufolo e il Grande evento”) sono editi da Eris Edizioni. “Ren Rocchi” purtroppo non è più disponibile sul sito di Retina Comics ma qualche pagina si può sbirciare qui. Accattatevi “Zambesi”, la collaborazione con Paolo Cattaneo (uscita con Delebile) qui.

• Sì. Ha illustrato en passant anche il libro di M¥SS KETA, Una donna che conta.

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