Laudano e vecchi merletti: Vision e l’horror secondo Julia Gfrörer

Una volta qualcuno ha detto: “Indie horror comics are the scariest thing!” riferendosi al fatto che a) i fumetti possono spingere la narrazione dell’orrore verso vette precluse agli altri media, facendoci accapponare la pelle e provocandoci alti livelli di ansia e raccapriccio tramite disegni da cui non possiamo sottrarci e b) i fumetti indipendenti risultano spesso più audaci e perturbanti rispetto, ad esempio, al molle cinema di genere mainstream (senza offesa).

Quel qualcuno era Ezra C. Daniels, scrittore e illustratore americano, autore di Upgrade Soul e BTTM FDRS. Stava scherzando, ma non aveva tutti i torti. Julia Gfrörer, che era presente mentre lo diceva, intanto rideva sotto i baffi. Il suo ultimo libro Vision è un horror nato per l’appunto come autoproduzione a puntate (poi raccolto in volume unico da Fantagraphics) che racconta in maniera magistrale i silenziosi orrori della mente umana. Una storia dove amore e dolore si intrecciano al punto che è difficile distinguerli. Ricco di suspance, eros e sovrannaturale, io l’ho letto poco dopo la sua uscita americana, nel 2020, ma ogni anno ad ottobre mi sento di consigliarla ai palati raffinati che cercano nuove letture per Halloween.

Siamo a New York, diciannovesimo secolo. La protagonista è Eleanor che dopo la morte del fidanzato si ritrova a vivere nella vecchia magione di famiglia assieme al fratello e alla moglie malata e nevrotica. Accudisce a malincuore l’esigente cognata e gli unici momenti che dedica a sé sono quelli in cui si reca dal medico per correggere i problemi alla vista, da tempo offuscata. Frustrata e infelice, Eleanor cerca nel segreto della sua camera una fuga dalla sua miseria, prima tagliandosi le braccia e poi instaurando una relazione incorporea, voyeuristica e masturbatoria con uno specchio che immagina parlarle con la voce di un amante fantasma. Poco per volta piccoli misteri e squilibri iniziano a sommarsi, fino a fornire un ritratto sempre più cupo di un’anima tormentata.

Gfrörer, che viene considerata a giusto titolo una delle fumettiste più promettenti della sua generazione, conosce molto bene la materia del gotico e sa di poterlo utilizzare come strumento di critica sociale. Mettendo in contrapposizione la vita di Eleanor così com’è e così come lei la immagina/vorrebbe riesce a raccontare il crollo mentale di una donna causato dal malsano immobilismo familiare e dalle soffocanti restrizioni che la società vittoriana imponeva alle donne.

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Creation. Sylvia Nickerson e il tempo stratificato della città, dei corpi, delle relazioni

Il legame tra gentrificazione e comunità artistica è uno dei grandi temi al centro di un dibattito sulle trasformazioni sociali in atto da ormai quindici anni. I profeti dello sviluppo urbano vedevano nella migrazione dei giovani creativi verso le grandi città una possibilità di miglioramento economico e sociale, ma ciò che più verosimilmente si è verificato è stato un divario tra centri e periferie e un conseguente sbilanciamento del costo della vita a danno dei più poveri.

Chi voleva speculare su questo esodo lo ha fatto, così i palazzi sono diventati investimenti, gli affitti sono aumentati e le case hanno iniziato ad essere lasciate vuote da chi non poteva più permettersele. Cambiando il volto del quartiere, da popolare a borghese, si è cambiato anche il suo tessuto sociale e l’inasprimento delle differenze di classe è diventato così un effetto collaterale del “progresso”.

Nel suo memoir, Creation (Drawn & Quarterly, 2019; ancora inedito in Italia) Sylvia Nickerson utilizza il fumetto come strumento per fare autocritica e parlare di responsabilità (gli artisti hanno colpe, certo, ma non sono che un pezzo del puzzle) ed esplorando i legami tra biografia e narrativa, arriva a toccare aspetti duri dell’esperienza umana come povertà, depressione post-partum, crimine e violenza.

La stessa Sylvia Nickerson è stata per sua ammissione una gentificatrice, una ragazza della classe media arrivata in città per fare l’artista, con uno studio condiviso posizionato in un quartiere considerato malfamato che in breve si è trasformato in una piccola Broadway.

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Susceptible. Il lessico famigliare di Geneviève Castrée

Susceptible è il fumetto con cui l’artista canadese Geneviève Castrée ha raccontato la vera storia della sua infanzia, dalla nascita fino all’agognato giorno in cui ha lasciato la casa di sua madre, a 18 anni. È un volume di qualche anno fa, 2012. Prima di allora Castrée aveva pubblicato alcuni libri di fiction (l’esordio da giovanissima, proprio a 18 anni, con Lait Frappè che ha ricordato anche Nicoz Balboa qualche mese fa su Fumettologica), ma mai autobiografie.

“Ne avevo bisogno”, dirà in numerose interviste, citando alcuni episodi depressivi particolarmente pesanti da cui potè riprendersi proprio grazie all’arte e alla creatività che non l’hanno mai abbandonata. “Pensavo: Al diavolo. Mi libererò di questa storia una volta per tutti e passerò oltre. Mi ha fatto bene”.

Cronaca malinconica di una famiglia disfunzionale, Susceptible ottenne un grosso plauso dalla critica, venne nominato per i Cartoonist Studio Prize e fu pubblicato anche in Francia e Germania. Quello che era piaciuto del libro era soprattutto l’onestà del racconto (affidato al personaggio della giovane Goglu, alter ego dell’autrice) e la grazia con cui aveva saputo riportare sulla pagina la combinazione di immaturità e infelicità che costituiva il dna della sua famiglia.

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