Unfollow. Unendo ecologia, social media e proselitismo, cosa mai potrebbe andare storto?

Un giorno il verbo si fece carne e sulla terra comparve un bambino dalla pelle rugosa. Venne accolto da una famiglia di classe media, in una casa con giardino, cane, compiti per casa e una stanza tutta per sé. A dodici anni iniziò ad essere seguito da uno psicologo infantile, perché non faceva che ammassare sotto il letto barattoli con resti di animali e parlare di “odore”, un profumo dolciastro che spiegava aver percepito la prima volta il giorno in cui nacque.

C’è qualcosa di incredibilmente disturbante e attraente in questo fanciullo. Sembra sapere tutto della storia del pianeta. Il modo in cui parla spaventa gli adulti, mentre i più giovani ascoltano rapiti i suoi racconti sulla nascita del mondo, la comparsa (e distruzione) delle specie. All’interno dell’Istituto per bambini con disturbi dell’apprendimento dove viene ricoverato diventa immediatamente una star. I piccoli pazienti pendono dalle sue labbra e pochi mesi dopo lo aiutano a scappare. Convinti di aver assistito ad un incontro di natura messianica.

È a questo punto che l’account @Earthboi compare in rete. Nessuno ha ben capito da dove il ragazzino riesca a trasmettere i suoi video, ma è presto chiaro quale sia il suo messaggio: per contrastare il riscaldamento globale e la distruzione umana dell’ambiente bisogna diventare tutt’uno con esso, vivere in simbiosi con la Natura.

Sono temi caldi (caldissimi) quelli che Lukas Jüliger, illustratore e fumettista tedesco classe 1988, sceglie di mettere al centro del suo terzo lavoro Unfollow, pubblicato in Italia dalla piccola casa editrice Atlantide, per la traduzione di Marta Moretti. Da una parte l’incombente catastrofe climatica e l’indolenza dei governi a mettere in campo provvedimenti per affrontarla, dall’altra l‘influencer culture e la sempre maggiore influenza dei social media nella comunicazione di massa.

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The Hard Tomorrow. Felicità a momenti e futuro incerto

Nell’Ottocento, i poeti romantici tedeschi avevano coniato il termine Weltschmerz (“dolore cosmico”) per descrivere la sensazione di inadeguatezza e impotenza che provavano di fronte alla realtà crudele che opprimeva le loro libertà e la loro capacità di realizzarsi come individui. Il concetto vi suona familiare? Forse perché anche voi disperate per lo stato del mondo oggi e avete notato che le ragioni per rispolverare l’uso del termine non mancano.

Dalla politica isolazionista che sta sorgendo su entrambe le sponde dell’Atlantico, alle disparità economiche cupe e crescenti, alla crisi dei rifugiati, al ritorno del fascismo e del nazionalpopulismo, fino alla sempre trascurata crisi climatica, la sensazione diffusa è che il mondo sia sfuggito al nostro controllo e che i pochi che ancora detengono il potere e gli strumenti per guidarlo non siano interessati a farlo.

In questo contesto diventa persino difficile riconciliare il desiderio di avere dei figli con lo stato del mondo in cui li faremmo nascere. Voler diventare genitori, in un mondo sull’orlo del collasso, è un comportamento da irresponsabili? Eleanor Davis ha provato a dare una sua risposta a questa domanda da un milione di dollari con il suo ultimo libro a fumetti, The Hard Tomorrow, uscito il mese scorso per Drawn & Quarterly. Una storia meravigliosa e ricca di empatia su una coppia di giovani sognatori che stanno cercando di costruirsi un futuro nonostante tutto (compreso il privilegio di poter scegliere).

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Brat. Voglio una vita così, c’est la vie

Michael DeForge non è uno che le manda a dire. Avevo Brat sul comodino da appena due giorni quando mi sono imbattuta nel tweet dove sostanzialmente smerdava la Westbank Corp – società canadese che si occupa di sviluppo immobiliare e residenziale di lusso – perché gli aveva proposto di realizzare un fumetto a supporto di uno dei loro ultimi progetti di riqualificazione. DeForge si era limitato a screenshottare la risposta alla mail, che chiosava dicendo: Piuttosto mi taglio la testa. Grazie per avermi contattato, Michael.

La città è infatti il milieu per eccellenza di DeForge, un luogo familiare, quasi sacro, verso cui il fumettista canadese (classe 1987) nutre una visione per sua stessa ammissione romantica. “Non ho mai vissuto in contesti che non fossero cittadini, anche se avrei voluto”. Le cose belle della città come il senso di comunità, l’accessibilità, stanno lentamente svanendo per mano dei cosiddetti agenti del Capitale, e questo per DeForge è insopportabile. Nei suoi fumetti (ma molto spesso anche nei suoi tweet) non è difficile ritrovare questa frustrazione, abilmente filtrata dalla sua raffinata satira surrealista.

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Queer: A Graphic History. Altolà alla normatività

Se c’è una cosa che ho imparato negli anni trascorsi a Soft Revolution è che non si può essere buoni alleati LGBTQ+ se non si conoscono il passato, il presente e i problemi attuali che colpiscono le persone LGBTQ+ nel mondo. C’è bisogno di leggere, ascoltare, aprire gli occhi – insomma, educarsi – sui linguaggi queer, sulla storia e i problemi di giustizia sociale. Anche se questo implica il più delle volte mettersi in discussione e rivedere in toto le proprie posizioni.

Quando uno dei miei contatti Instagram ha condiviso un estratto di Queer: A Graphic History (nello specifico, una fulminante citazione di Michael Warner, l’autore di The trouble with normal), ho capito subito che sarebbe stato un libro da recuperare alla svelta, per imparare qualcosa di più non tanto sull’attivismo quanto sul pensiero, la teoria, queer.

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