Comarò vol. 3 – In conversazione con Vincenzo Filosa

Sabato 5 aprile, Vincenzo Filosa è venuto a trovarci a Schio per il terzo appuntamento di Comarò. Mentre aspettavamo il pubblico, abbiamo scherzato sulla sua passione per il marchio Lacoste e sugli epiteti (es. “Bro”) che a Milano sono in voga tra gli adulti tanto quanto tra i ragazzini dell’età di suo figlio. Una volta dentro il teatro, giunto il momento di farci seri, è scaturita una conversazione ad alta intensità emotiva che ha fatto luccicare gli occhi dei presenti in ascolto. Di seguito potete leggerne la trascrizione – condensata quanto possibile, per esigenze editoriali. 

VALERIA: Abbiamo scoperto che oggi è San Vincenzo, che meraviglia. Auguri Vincenzo e grazie per essere qui. 

VINCENZO FILOSA: Bellissima coincidenza. Grazie a voi per l’invito e grazie a voi del pubblico che siete venuti qui oggi, non potevate farmi regalo più grande.

V: Per rompere il ghiaccio ti faccio una domanda che non riguarda i tuoi libri, ma piuttosto una tua recente mostra. Qualche settimana fa hai inaugurato una personale all’interno di una scuola media di Milano: ci racconti com’è andata? La location è a dir poco insolita.

VF: Questa mostra di cui parli è ancora aperta, la tengono su fino a giugno. La scuola è quella che frequenta mio figlio: si chiama “Rinascita”, sta dalle parti del naviglio pavese. Lo scorso settembre l’insegnante di arte mi aveva chiesto se ero disponibile per un laboratorio o una mostra e le ho detto immediatamente di sì. In genere queste proposte mi fanno sempre piacere, ma nello specifico qui non ho esitato perché si trattava dell’insegnante che durante un Open Day mi aveva convinto a iscrivere mio figlio in quell’Istituto (e questo nonostante sia dall’altra parte della città rispetto a dove abito)! La sua proposta per la mostra è andata avanti, sono venuti a prendere le mie tavole, e l’allestimento è partito. Ci tengo molto, mi sembra che mio figlio lì abbia trovato una casa dove crescere. Io non sono esattamente un autore da scuola media, come avrai visto, ma superato l’imbarazzo iniziale (“È tutto vero?”, “Eh, sì”) alla fine ci si aggiusta per il meglio.

V: Le insegnanti sanno dunque che sei un fumettista, non hai avuto difficoltà a spiegare il tuo lavoro? Invece a tuo figlio e ai coetanei?

VF: Per mio figlio è stato semplice, gli basta guardare la mia gobba crescere giorno dopo giorno mentre sono chino al tavolo da lavoro. Però devo dire che i ragazzini non sanno cosa faccia un fumettista, che tipo di lavoro sia. Io nemmeno alla loro età; l’ho capito pochi anni fa che il fumetto è un mestiere complesso, che richiede grande sforzo tra il lavoro mentale di ricerca e scrittura e il lavoro manuale di disegno. Penso che mio figlio abbia intanto capito che non è un mestiere troppo remunerativo. L’altro giorno mi chiedeva quando guadagna mia sorella…

[Tutti ridono]

VF: Sai, è più difficile spiegarlo a casa, in famiglia, giù al meridione. Qui a Nord, ma anche in Centro Italia, mi sembra che si riconosca una dignità a questo mestiere, mentre a Sud purtroppo no. Mio padre ad esempio non è mai stato in grado di spiegare ad altri di cosa mi occupassi io, prima che entrassi in Accademia. Un po’ perché è complesso spiegarlo, un po’ perché è avvilente. Nei luoghi in cui sono cresciuto, le professioni praticabili erano tre: dottore, avvocato e architetto-ingegnere. Il resto era nulla. Al Sud è sempre più difficile.

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All the love I can get. Raccontare la solitudine e la dipendenza affettiva

Seduta sul palco di un piccolo locale, una donna si sta esibendo nella declamazione di una poesia. Poche persone intorno a lei prestano attenzione al modo in cui gesticola stringendo il microfono tra le mani mentre recita “Scivolare sempre in un baratro e dirsi: ‘Ok. Questa non è la tua tomba. Tirati fuori dal baratro.’” Quella donna è Eliza, una delle protagoniste di All the love I can get di Tommi Parrish, e la poesia che sta recitando è What Resembles the Grave but Isn’t, di Anne Boyer.

Non è un caso che questa litania di cadute e risalite dal “baratro che sembra una tomba” (evidente metafora della depressione) introduca l’evento chiave del racconto, ovvero l’incontro di Eliza con Sasha, che era venuta alla performance appositamente per conoscerla. Sono donne ferite, che hanno sviluppato paure nei confronti di una grande varietà di cose e situazioni. Nel corso del libro scopriremo che per loro vivere equivale a camminare su una strada incidentata, piena di buche in cui è facile cadere. La domanda è: è più semplice tirarsi fuori da tale colabrodo da solə, oppure farlo con qualche aiuto?

Parrish, come ho già raccontato, è il genere di fumettista a cui fa bene rivolgersi ogni volta che sentiamo il bisogno di dare senso alla nostra fragilità. Qualcosa, nel loro stile – l’impareggiabile capacità di scavare nella vita interiore delle persone e riportarla sulla pagina evocando esperienze individuali e collettive, l’intreccio di storie stratificate unite in un potente flusso di conversazioni, la commistione di traumi e gioie, di aneddotica divertente in relazione a temi molto pesanti – sa come spostare i nostri orizzonti fuori dalla zona di comfort, offrendo nel contempo al nostro cuore uno spazio sicuro.

Sono trascorsi quattro anni dal loro ultimo libro, The Lie and how We Told It (La bugia e come l’abbiamo raccontata). Nel mezzo: un paio di traslochi di cui uno transoceano, il Covid, la residenza in una cabin nei boschi, la morte della matrigna, la tanto agognata patente di guida conseguita a trentanni compiuti, l’inizio del percorso di transizione di genere. È con questo bagaglio incandescente che Tommi Parrish arriva a pubblicare All the love I can get, racconto di straordinaria umanità sulla difficoltà di esprimere e vivere amore e amicizia ai tempi del capitalismo. Da noi lo ha pubblicato Minimum Fax, all’interno della neonata collana di fumetti “Cosmica” (con largo – e fortunato – anticipo sugli States, dove uscirà solo in autunno col differente titolo Men I Trust).

Nel libro – tradotto da Alice Amico – tornano i temi centrali della poetica di Parrish: l’incomunicabilità tra individui, famiglia e società; il piacere e il dispiacere della solitudine; la mascolinità; il desiderio. Eliza e Sasha sono le protagoniste principali, cui si aggiunge Andrew, figura secondaria che avrà comunque un ruolo determinante per il finale.

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