Vittime e combattenti. Ecco le “Moms” di Yeong-shin Ma

Il fumettista sudcoreano Yeong-shin Ma ha vissuto a casa dei suoi genitori per trent’anni prima di potersi permettere una sistemazione indipendente. Non aveva un gran rapporto con sua madre e come molti giovani adulti nella sua situazione, si sentiva assillato dalle sue infinite richieste. Una volta trasferito, però, si è rapidamente reso conto dei sacrifici e del lavoro di cura che lei svolgeva per mandare avanti la casa. Nel tentativo di sdebitarsi e intuendo di avere ancora molto da imparare da lei, le ha comprato un costoso taccuino chiedendole di riempirlo con tutto quello doveva sapere sulla sua vita, senza risparmiarsi dettagli dolorosi e crudi. Quello che la madre gli ha restituito meno di un mese dopo è diventato la base per Moms, il suo primo fumetto tradotto in lingua inglese.

Pubblicato da Drawn&Quarterly nel 2020 e ancora inedito in Italia, Moms è un fumetto audace e travolgente incentrato sulla storia di un gruppo di donne di mezza età, frustrate dalla mediocrità dei loro compagni e dei loro stipendi. Donne della classe operaia, capitanate dalla divorziata Lee Soyeon (personaggio modellato sulla madre dell’autore), che si fanno strada a colpi di ariete tra pervertiti o truffatori che le usano per sesso o denaro e si rifiutano di usare mezzi termini per amore della cortesia.

Nonostante la sessualità delle cinquantenni venga per lo più ignorata dalla narrazione mainstream, Moms non lesina sui dettagli della vita romantica di Soyeon e delle sue amiche. Yeong-shin Ma sfida le norme della tradizionale narrativa familiare coreana, che vorrebbe relegare le donne di una certa età nei ruoli di madri affettuose e senza nome, per raccontare con onestà la storia di coloro che desiderano qualcosa di più di ciò che le loro vite possono offrire. Donne che come chiunque altro cercano l’amore e la felicità, e si aggrappano alle loro speranze e ai loro sogni per ottenerli.

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Malibu. La provincia italiana come stato mentale

Un giorno, quando avevo otto anni, mio padre tornò a casa da lavoro tenendo sotto braccio un libro che aveva comprato uscendo dall’ufficio. Era Schei di Gian Antonio Stella, e in copertina c’erano delle monete impilate su cui sedeva comodo il leone di San Marco. Si trattava di una disamina critica del boom economico che aveva investito il Nordest nella seconda metà del Novecento e che in quei primi anni Novanta inizia a mostrare segni di cedimento. Come avrei poi scoperto, anche tutti i genitori dei miei amici e compagni di scuola stavano comprando quel libro. Perché era così interessante da leggere? In sostanza il giornalista del Corriere della sera ci stava fornendo gli strumenti per capire come mai vivessimo tutti circondati da fabbriche, zone industriali e capannoni. E come il denaro (oltre all’orgoglio e alla famiglia) fosse uno degli elementi cruciali per “capire” la terra in cui vivevamo. Io sono nata e cresciuta a Schio, quindi capirete che c’ero dentro fino al collo.

Quando ho letto Malibu di Eliana Albertini, veneta come me, ma della zona del Polesine (Adria), ci ho ripensato subito. In Malibu, pubblicato a settembre da Beccogiallo, non ci sono palme, spiagge e celebrities, bensì una terrà umida e nebbiosa, fatta di rotonde ed edifici dismessi. C’è un’unica grande via di entrata e uscita ed è la Romea, strada statale 309. Una strada che in passato favoriva il passaggio dei pellegrini cristiani diretti a Roma e ora mantiene una certa funzionalità religiosa sebbene la meta dei pellegrinaggi sia diventata il night/music club del titolo.

Il libro si compone di piccole storie autoconclusive, accumunate dall’ordinarietà opprimente e sfigata della provincia italiana attraversata dalla Romea. Ci sono personaggi di età diverse, ragazzi, uomini, anziani – molti maschi e poche femmine, ma ci tornerò dopo – nessuno di loro ha una vita avventurosa, ma ciascuno di loro pensa di avere una vita speciale. Tutta la provincia è paese, e tutti ovviamente “i se conosse”. Per questo alcuni dei personaggi ricompaiono successivamente nella storia di qualcun altro, o li sentiamo nominare se sono assenti.

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