Brat. Voglio una vita così, c’est la vie

Michael DeForge non è uno che le manda a dire. Avevo Brat sul comodino da appena due giorni quando mi sono imbattuta nel tweet dove sostanzialmente smerdava la Westbank Corp – società canadese che si occupa di sviluppo immobiliare e residenziale di lusso – perché gli aveva proposto di realizzare un fumetto a supporto di uno dei loro ultimi progetti di riqualificazione. DeForge si era limitato a screenshottare la risposta alla mail, che chiosava dicendo: Piuttosto mi taglio la testa. Grazie per avermi contattato, Michael.

La città è infatti il milieu per eccellenza di DeForge, un luogo familiare, quasi sacro, verso cui il fumettista canadese (classe 1987) nutre una visione per sua stessa ammissione romantica. “Non ho mai vissuto in contesti che non fossero cittadini, anche se avrei voluto”. Le cose belle della città come il senso di comunità, l’accessibilità, stanno lentamente svanendo per mano dei cosiddetti agenti del Capitale, e questo per DeForge è insopportabile. Nei suoi fumetti (ma molto spesso anche nei suoi tweet) non è difficile ritrovare questa frustrazione, abilmente filtrata dalla sua raffinata satira surrealista.

Certo, non che li abbia solo il Canada i problemi di esclusione, speculazione e classismo cittadino. Pensiamo al centro sociale XM24 di Bologna sulla cui testa pende un ordine di immediato sgombero, o alla Libreria Comunardi di Torino, costretta a chiudere per far posto a un supermercato o la Casa Internazionale delle Donne di Roma, che dopo trent’anni di consulenza e assistenza sanitaria a donne e ragazze deve combattere contro lo sfratto.

Il problema dell’adattabilità dei cittadini allo spazio che evolve intorno a loro senza che possano agirvi, è uno dei temi a cui DeForge sta più dedicando i suoi lavori. Ne parla Leaving Richard’s Valley, ne parlerà Familiar Face (entrambi in mano a Drawn & Quarterly). Lo scenario urbano fa da sfondo alle esperienze dei protagonisti e delle protagoniste dei suoi lavori. Squatter, attivisti, deliquenti, arricchiti, precari, burocrati, tutte personalità che all’interno della città combinano qualcosa, cercando di fuggire al destino di eterno oblio cui sembrano destinati.

È qui che ritroviamo Brat. Uscito originalmente per Koyama Press nel 2018 è arrivato in Italia nel maggio scorso grazie al lavoro instancabile di Eris Edizioni e alla traduzione di Valerio Stivè.

Brat racconta la crisi artistica e personale di Miss D., figurina gialla dotata di una massa di capelli più importante del resto del corpo, pioniera della “scena delinquenziale” della sua città e ora celebrata come figura di culto in grado di ispirare giovani e meno giovani a compiere azioni di vandalismo e microcriminalità. Nel suo curriculum: l’avvelenamento dei cani di New York realizzato assieme a un collega mascalzone; la pubblicazione in diretta tv dei numeri di telefono dei figli del Presidente; la creazione di un fiore-spruzza-aceto che accecò il Papa. Giunta alla veneranda età di 33, e temendo di essersi ridotta a celebrità imbolsita senza più niente da comunicare o cause per cui volersi ribellare, Miss D. cercherà nel corso del fumetto un modo per uscire di scena col botto.

La bella e monella Miss D., nata con un’infiammazione all’immaginaria sezione-D del cervello (da qui il nome che porta), si ostina a comportarsi male perché questo è ciò che la società di aspetta da lei. Le sue azioni, ormai ridicole, non hanno alcuna motivazione o ambizione politica (“Ah, essere politicizzati… Prima ero così, ne sono certa. Mi sentivo sempre scoppiare e pensavo che tutto quello che dicevo e ogni respiro che facevo fosse colmo di significato. Mentre oggi…”) eppure ora nessuno sembra badarci. La sua fandom accoglie incondizionatamente ogni sua performance, non importa che sia un rogo di automobili o una defecazione en plein air.

A che pro, allora? Che senso ha continuare così, quando il tuo lavoro non ha più un vero significato e l’unica a fartelo notare è tua madre, che tutt’oggi non si capacita del successo che hai ottenuto?

Una presa di coscienza dolorosa, che la protagonista non digerisce benissimo. Un intero capitolo è dedicato al suo – condivisibile – crollo nervoso: tra porchi e madonne il tratto con cui è disegnata andrà aggrovigliandosi come un gomitolo fino a darle le plastiche sembianze deformi di un animale feroce. Più avanti nel libro, quando all’esasperazione seguirà una sbronza triste, il segno si assottiglierà talmente da farla sparire in uno spazio completamente bianco.

I disegni di DeForge consistono in linee semplici, prospettive appiattite e palette di colori limitate (che usa per deformazione professionale dei tempi in cui realizzava poster serigrafati), ma dentro dischiudono mondi e forme organiche di ogni tipo, suggerendo una ricchezza di emozioni interiori.

Mentre Miss D. cerca rifugio nell’alcool e negli uomini, si affianca a lei un’altra figura femminile emblematica: Citrus Chan, la stagista non pagata. Giovane, inesperta ma estremamente leale, Citrus aspira a un futuro da delinquente e pende dalle labbra della sua eroina, sopportando soprusi e idealizzando idee che le porteranno solo delusioni. Il suo è un limite universale della nuova generazione di lavoratori dipendenti: pur ambendo a una carriera nel settore, è così concentrata sulle deadline e i capricci della sua titolare da non riuscire a produrre niente di veramente “criminale”.

Citrus ad un certo punto del libro illustra direttamente al lettore il suo progetto di crescita. Le tappe (riportate con grande cinismo dall’autore) sono definite in modo chirurgico: lei non ha dubbi su come diventerà la persona che sogna di essere. “Sono già in difetto, ho iniziato tardi rispetto a gran parte dei nomi grossi della delinquenza giovanile”, premette con lo sguardo crucciato di chi non vuole rimanere indietro e dimostrare il suo valore a tutti i costi.

Con Brat Michael DeForge ci fa riflettere sulla celebrity culture e la sua inutilità, ma sopratutto sulla terribile inconciliabilità tra la passione che sottende ogni nostra azione e la realtà cui siamo destinati. Il messaggio è sii felice di quello che fai prima che la fiamma si esaurisca (o prima che vengano a spegnertela) e fai attenzione perché passare da ribelle a pirla è un attimo.

Il libro è una coloratissima pugnalata al cuore morbido dei nostri “vorrei ma non posso”. È amaro ed è triste come in fondo siamo anche noi “non più giovani”, ormai stanchi e privi dell’energia che ci aveva scossi in passato. Andate e leggetene tutti.


Note:

• Sono anni che Tom Devlin, Executive editor di Drawn&Quarterly, lo ripete. E nel librone Twenty-five Years of Contemporary Contemporary Cartooning, Comics, and Graphic Novels lo dichiara solennemente:Michael Deforge è un grande. Negli ultimi anni ci siamo sperticati in elogi verso di lui perché sì, è un fumettista tra i più interessanti della sua generazione e forse persino della precedente, ma più che sul suo stile (“talmente distintivo che moltissimi altri fumettisti finiscono risucchiati nella sua orbita”), dovremmo concentrarci sulle sue abilità come narratore. “Michael DeForge potrebbe essere uno dei fumettisti più irrequieti e ambiziosi dopo Daniel Clowes e il suo Eightball” azzarda Devlin. Il modo in cui riesce a combinare immagine e parola è prodigiosa, ma i suoi scritti hanno una genuina qualità indagatrice che è raro trovare in questo settore.

• Il logo della small press Youth in Decline l’ha disegnato lui!

• Prima di diventare un bellissimo libro luccicante, il sopracitato Leaving Richard’s Valley era una daily strip a fumetti pubblicata su Instagram (@richardsvalley). È ancora online nella sua interezza, se volete leggervelo. Sono circa 480 pagine – ehm, post? – quindi controllate di avere batteria nel telefono prima.

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